La novella normativa del 2021 in materia di non impugnabilità degli estratti di ruolo si applica anche ai giudizi pendenti secondo la Sentenza delle Sezioni Unite 26283 del 6 settembre 2022

by admintrib

E’ arrivata nei giorni scorsi l’attesa Sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 26283 del 6 settembre 2022 con cui, decidendo in relazione alla ordinanza interlocutoria emessa dalla Sezione Tributaria, le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla questione concernente la possibilità per il contribuente, che assuma di non aver ricevuto rituale notificazione di atti di riscossione, e che ne scopra l’esistenza con un estratto di ruolo, di impugnarli immediatamente, anche insieme col ruolo.

Su questa possibilità ha inciso l’art. 3-bis del d.l. n. 146/21, come convertito, che ha limitato l’accesso alla tutela immediata, configurata, invece, dalle sezioni unite (con la sentenza n. 19704/15) come alternativa, e rimessa alla facoltà della parte, rispetto a quella differita prevista dall’art. 19, comma 3, ultima parte, del d.lgs. n. 546/92.

Le Sezioni Unite dovevano pertanto stabilire se la nuova norma si applichi ai giudizi pendenti e se vada esente dai dubbi di legittimità costituzionale che si prospetterebbero, come già avevano affermato la Procura generale e la stessa ordinanza interlocutoria.

Ebbene, dopo un lungo percorso argomentativo, sul quale torneremo in sede di approfondimento sulla nostra rivista mensile, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto:

«In tema di riscossione a mezzo ruolo, l’art. 3-bis del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, inserito in sede di conversione dalla L. 17 dicembre 2021, n. 215, col quale, novellando l’art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cast., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione».

Il Supremo Collegio osserva, in particolare, che l’azione ha «natura dinamica, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti (tra varie, Cass. n. 9094/17; sez. un., n. 619/21), e può assumere una diversa configurazione, anche per volontà del legislatore, fino al momento della decisione. La disciplina sopravvenuta si applica, allora, ai processi pendenti perché incide sulla pronuncia della sentenza (o dell’ordinanza), che è ancora da compiere, e non già su uno degli effetti dell’impugnazione».

«Quanto alle fasi di merito, se il pregiudizio sia già insorto al momento della proposizione del ricorso, utile è il tempestivo ricorso alla rimessione nei termini, applicabile anche al processo tributario (tra varie, v. Cass. n. 268/22), posto che l’assolutezza dell’impedimento a rappresentare quel pregiudizio è determinata dalla novità della norma che l’ha previsto; a maggior ragione esso può essere fatto valere in giudizio se insorto dopo. L’interesse in questione può poi essere allegato anche nel giudizio di legittimità, il quale non è sull’operato del giudice, ma sulla conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico, definito dalle norme applicabili quando la sentenza è resa (Cass., sez. un., n. 21691/16, punto 16), mediante deposito di documentazione ex art. 372 c.p.c. (sull’ammissibilità del deposito di documenti concernenti la persistenza dell’interesse ad agire, cfr., tra varie, Cass. n. 26175/17), o anche fino all’udienza di discussione, prima dell’inizio della relazione, o fino all’adunanza camerale, se insorto dopo; qualora occorrano accertamenti di fatto, vi provvederà il giudice del rinvio».

Infine, la Suprema Corte, rispondendo ai dubbi di legittimità costituzionale, prospettati dalla dottrina con riguardo agli artt. 3, 24, 113 e 117 Cost., quest’ultimo nella prospettiva CEDU, afferma che la disciplina in questione non è irragionevole, né arbitraria.

In particolare le finalità deflattive rispondono alla consapevolezza, già sottolineata dalla Corte costituzionale (in particolare con la sentenza n. 77/18), che, «a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera».

È dunque escluso «che sia minato il sistema, come si è adombrato in relazione al giudizio tributario, al modello del quale è soltanto apportata una modesta deroga».

I dubbi su questa pronuncia di impostazione “politica” (già la norma di fine 2021 era in linea con una prospettazione fortemente sostenuta in giudizio dall’Agenzia delle Entrate) non sono pochi.

La pronuncia, addirittura in seno al Principio di diritto espresso, della linearità della nuova norma e della sua interpretazione retroattiva rispetto alle regole costituzionali non può far pensare, in particolare, a un corto circuito tra i poteri dello Stato (almeno se continuiamo a considerarli come poteri distinti ed istituzionalmente concorrenti).

Sul punto, malgrado l’autorevolezza dell’interprete, ogni singolo Giudice sarà almeno titolato a rimettere comunque alla Consulta le questioni che ritenga in dubbio di rispetto dei principi costituzionali e necessarie per decidere.

Quanto ai giudizi in corso introdotti con le regole preesistenti ci potrebbero essere conseguenze imprevedibili, soprattutto per chi avesse tenuto in piedi le proprie doglianze con la mera impugnazione dell’estratto di ruolo oggi non più contestabile.

Come detto rimandiamo, per una trattazione più approfondita, alle pagine della rivista.

 

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