IVA applicata in misura superiore a quella effettiva: il diritto alla detrazione in virtù dell’art. 1, comma 935, l. 205/2017 ha efficacia retroattiva

by admintrib

Con ordinanza n. 28583 del 18 ottobre 2021 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Virgilio, Rel. Nonno) si è espressa sancendo l’efficacia retroattiva della previsione di cui all’art. 6, comma 6, d.lgs. n. 471 del 1997, introdotta dall’art. 1, comma 935, I. n. 205 del 2017, nella parte in cui è stabilito che, in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione ex artt. 19 e ss. del DPR IVA.

Nei fatti con avviso di accertamento emesso per l’anno di imposta 2003 l’Agenzia delle Entrate riprendeva a tassazione nei confronti di una s.r.l. l’intero ammontare dell’IVA detratta in virtù di un’erronea applicazione dell’aliquota (20% anziché 10%) e l’IRPEG sui presunti interessi attivi inerenti un finanziamento concesso dalla società ad una sua partecipata. La CTP accoglieva il ricorso della società; la CTR, invece, accoglieva l’appello dell’Ufficio. In particolare il giudice di seconde cure evidenziava che: con riferimento alla maggiore aliquota IVA detratta, la detrazione avrebbe dovuto presuppore la regolarità della fattura, circostanza non verificatasi nella specie data l’erronea applicazione dell’aliquota e la mancata rettifica; con riferimento all’IRPEG il finanziamento dovesse presumersi fruttifero, ancorché gratuito, non avendo la società fornito adeguata prova contraria in merito.

La Corte, accolto il ricorso in materia IVA, ha ricordato il consolidato principio di diritto secondo cui: “la previsione di cui all’art. 6, comma 6, d.lgs. n. 471 del 1997, introdotta dall’art. 1, comma 935, I. n. 205 del 2017, nella parte in cui prevede che, in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione, ai sensi degli artt. 19 e ss. del d.P.R. n. 633 del 1972, ha efficacia retroattiva, posto che le disposizioni del predetto comma 935 – in virtù dell’aggiunta apportata a quest’ultimo dal d.l. n. 34 del 2019 (c.d. “decreto crescita”), conv. con modif. dalla I. n. 58 del 2019 – si applicano “anche ai casi verificatisi prima dell’entrata in vigore della presente legge”.

I Giudici di Legittimità, in merito alla questione attinente la presunta fruttuosità del mutuo concesso dalla società alla partecipata, disponendo il rimando della controversia a nuovo giudizio da parte della CTR, hanno invece ribadito il principio di diritto per il quale: “l’art. 43 del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo applicabile “ratione temporis”) prevede, in funzione antielusiva, una presunzione legale di onerosità del prestito concesso dal socio alla società, superabile dal contribuente con prova contraria che, però, non può essere fornita con qualsiasi mezzo, ma soltanto nei modi e nelle forme tassativamente stabilite dalla legge: segnatamente, dimostrando che i bilanci allegati alla dichiarazione dei redditi della società contemplano un versamento fatto a titolo diverso dal mutuo”.

In tal senso, secondo la Corte, la CTR non si sarebbe conformata a tale principio di diritto, ritenendo di dovere verificare la sussistenza o meno della fruttuosità del mutuo non già sulla base dei bilanci della società partecipata, ma richiedendo documentazione proveniente dalla società partecipante.

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