Una sentenza di per sé non particolarmente rilevante quella della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione depositata il 6 luglio 2022 (n. 21451, Pres. Manzon, Rel. D’Aquino) poiché il motivo più rilevante ai fini della determinazione del recupero (il primo) viene ritenuto inammissibile in quanto, secondo la Corte esso tendeva – sotto la deduzione di un vizio di violazione di legge – a una diversa ricostruzione in fatto operata dal giudice del merito.
La vicenda era quella di un soggetto residente che aveva percepito provvigioni da una ditta sanmarinese, fatturando in regime di non imponibilità IVA, quando, a detta dell’Agenzia delle Entrate e della CTR, i fatti avrebbero invece dimostrato che le vendite non venivano effettuate dalla società estera ma da un distributore nazionale.
In questo quadro, oggettivamente di non facile interpretazione, la ricorrente aveva proposto la questione dell’applicabilità, quanto alle sanzioni in tema di IVA, del principio di cui agli artt. 5, 6, d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e 10, l. 27 luglio 2000, n. 212, stante la sussistenza della buona fede e le obiettive condizioni di incertezza sulla portata applicativa della disciplina IVA. La predetta questione era stata posta sin dal ricorso introduttivo e riproposta in grado di appello in sede di controdeduzioni, trascrivendo ad hoc gli atti indicati. Ciò nonostante, il giudice aveva omesso di pronunciarvisi.
Secondo la Corte non può ritenersi, come fa invece il controricorrente, che il giudice di appello abbia implicitamente rigettato la doglianza – pienamente ammissibile in quanto formulata nel rispetto del principio di specificità – relativa alle sanzioni, non rinvenendosi alcuna argomentazione in base alla quale il giudice possa avere inteso di rigettare, anche implicitamente, tale statuizione, per cui deve ritenersi sussistente l’omessa pronuncia, come ribadito dalla ricorrente in memoria.
E ciò in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., come correttamente enunciato dalla contribuente.