I criteri per la compensazione delle spese nel giudizio civile e nel giudizio tributario secondo la Suprema Corte

by admintrib

Interessanti principi quelli enunciati nella Ordinanza 28 marzo 2022, n. 9836 della Sesta Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Mocci, Rel. Delli Priscoli).

Accogliendo sotto entrambi i motivi di doglianza il ricorso di un contribuente la Corte ricorda i principi alla base della compensazione delle spese del giudizio. In particolare ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c. (Cass. 2 ottobre 2020, n. 21178; Cass. 18 febbraio 2019, n. 4696; Cass. 7 novembre 2019, n. 28658).

In tema di spese giudiziali, le “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa.

Nel processo tributario le “gravi ed eccezionali ragioni” indicate esplicitamente dal giudice nella motivazione per giustificare la compensazione totale o parziale delle spese del giudizio, ai sensi dell’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, non possono essere illogiche o erronee, altrimenti configurandosi un vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità (in applicazione di tale principio, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata che aveva fondato la compensazione delle spese sulla asserita situazione di difficoltà della contribuente nella conoscenza effettiva dell’atto impositivo, in quanto notificato nelle forme di cui all’art. 140 c.p.c.: Cass. 2 ottobre 2020, n. 21178; Cass. 25 gennaio 2019, n. 2206; Cass. 7 novembre 2019, n. 28658).

Nel caso specifico poi viene ritenuta erronea nonché lesiva dei minimi tariffari (centocinquanta euro per il primo grado di giudizio) del decoro e della dignità professionale una liquidazione omnicomprensiva, unitaria e non specifica e in cui la condanna alle spese è priva di qualsiasi specificazione relativa alle singole voci liquidate (Cass. n. 5250 del 2019; Cass. n. 5318 del 2007, Cass. n. 11276 del 2002, secondo cui la liquidazione delle spese processuali non può essere compiuta in modo globale per spese, competenze di procuratore e avvocato, dovendo invece essere eseguita in modo tale da mettere la parte interessata in grado di controllare se il giudice abbia rispettato i limiti delle relative tabelle e così darle la possibilità di denunciare le specifiche violazioni della legge o delle tariffe; Cass. n. 5250 del 2019 e n. 27020 del 2017, secondo cui in materia di liquidazione degli onorari agli avvocati, qualora la parte abbia presentato nota specifica con l’indicazione delle spese vive sostenute e dei diritti ed onorari spettanti, il giudice non può procedere ad una liquidazione globale al di sopra delle somme richieste senza indicare dettagliatamente le singole voci che aumenta in conformità alla tariffa forense, dovendo consentire l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe applicabili alla controversia, anche in relazione all’inderogabilità dei minimi e dei massimi tariffari).

 

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