Giurisprudenza di merito: invalida la notifica proveniente da indirizzo PEC non presente nei pubblici elenchi

by admintrib

Interessante sentenza della Commissione Tributaria di Roma, dodicesima sezione, (n. 6298 del 24 maggio 2022) in tema di notifiche tributarie.

I Giudici accolgono sul punto una specifica eccezione del contribuente che lamentava di aver ricevuto la notifica di un atto impositivo da un indirizzo PEC non presente nei pubblici registri.

La CTP ricorda che l’art. 16-ter del DL n. 179/2012 (convertito in legge, con modifiche, dalla L. 17.12.2012, n. 221 con decorrenza dal 19.12.2012), rubricato “pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni”, al comma 1, dispone: “A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia”.

Si tratta dei registri IPA, REGINDE e INIPEC in cui devono sempre essere registrati gli indirizzi di provenienza delle notifiche, al fine di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto notificando. In effetti, in ipotesi di indirizzi non ufficiali, emergendo l’assoluta incertezza del soggetto da cui proviene l’atto impugnato, non può che derivare la violazione delle norme circa la certezza, l’affidabilità giuridica del contenuto dell’atto stesso e del diritto di difesa del contribuente. Ne consegue l’inesistenza giuridica della consegna informatica dell’atto tributario proveniente da soggetto formalmente “sconosciuto” al contribuente.

Sul punto costante è l’orientamento giurisprudenziale (CTP di Roma, sentenze nn. 2799/2020; 9274/2020; 10571/2020; 767/2021; CTR del Lazio, sentenze n. 915/2022; 11779/2021; 10571/2020; 601/2020 che sostiene che “La Commissione Tributaria osserva che le norme che regolano la notifica a mezzo Pec dell’atto tributario da parte dei Concessionari sono quelle di cui all’art. 26, comma 5 del D.p.r. n. 602/1973 ed art. 60 D.p.r. n.600/1973. L’art. 16 ter, comma n. 1 del D.l. n. 179\2012 prescrive che, a far tempo dal 15.12.2013, per pubblici elenchi si intendono quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto- legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia, e cioè INI-PEC- Indice PA – e PCT e, pertanto, la notifica Pec si intende validamente effettuata (nel rispetto degli altri requisiti richiesti ex legese effettuata da un indirizzo Pec certificato ed inviato ad un indirizzo Pec anch’esso certificato. Pertanto, dal richiamato quadro normativo emerge incontestabilmente che il Legislatore abbia ripetutamente sancito la necessità che l’attività di notifica avvenga mediante l’utilizzo di indirizzi di posta elettronica risultanti dai pubblici elenchi, al fine di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto notificando”.

Ricordano ancora i Giudici provinciali che, con sentenza n. 17346/2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che la notifica può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante dai pubblici registri.

Nel caso specifico l’Ufficio aveva notificato gli atti impugnati mediante Pec attraverso gli indirizzi Pec: “notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it” – “notifica. lazio@cert.equitaliariscossione.it” non idonei per una valida notifica posto che tali indirizzi non risultano dai registri ufficiali Reginde o Indice P A e non possono essere riferiti all’agente della riscossione neanche facendo ricorso al sito web dell’Agenzia delle entrate.

Le conseguenze sono in primo luogo che vanno considerate inesistenti le notifiche effettuate via Pec da un indirizzo di posta elettronica non risultante dai pubblici registri. In secondo luogo che è escluso qualsiasi effetto sanante per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., perché: “utilizzando un indirizzo pec non certificato e non inserito in pubblici registri, il messaggio di posta elettronica difetta di un requisito indispensabile a tal fine, non consentendo al destinatario di essere messo in condizioni di conoscerne il contenuto, senza correre il rischio di essere attaccato da c.d. “Malware.”

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3093/2020 ha confermato il predetto principio, affermando che: “La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”.

La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, in tema di inesistenza e nullità della notifica, ha da tempo chiarito che: “L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato …”.

Il vizio della notifica inviata attraverso p.e.c. non ufficiale comporta, quindi, una nullità insanabile, essendo dell’atto minata proprio la certezza circa la sua provenienza, a fronte dell’oggettiva impossibilità di riferire quell’indirizzo all’AdER (non essendo lo stesso rintracciabile in alcun pubblico elenco ufficiale, conseguendone la sua inesistenza e impossibilità di operare la sanatoria ex art. 156 c.p.c.

 

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