Esenzione per gli organismi di investimento collettivo mobiliare residenti spettante anche al fondo non residente. Valgono le convenzioni e il canone di “buona fede” previsto dal Trattato di Vienna

by admintrib

« In tema di dividendi distribuiti, nel 2003, da società residenti in Italia ad un fondo comune d’investimento mobiliare aperto residente in Germania – le cui quote o azioni siano sottoscritte esclusivamente dai soggetti non residenti in Italia di cui agli artt. 9, comma 3, d.lgs. n. 461 del 1997 e 6, comma 1, d.lgs. n. 239 del 1996, n. 239, e successive modificazioni- l’art. 10, par. 2, della Convenzione Italia- Germania, per il quale “tali dividendi possono essere tassati anche nello Stato contraente di cui la società che paga i dividendi è residente, ed in conformità alla legislazione di detto Stato”, va interpretato – secondo il canone di buona fede ex art. 31 del Trattato di Vienna ed i principi della fiscalità̀ comunitaria ed internazionale, per evitare la violazione dell’art. 63 T.F.U.E. in materia di libera circolazione dei capitali tra Stati membri – nel senso che anche ai predetti dividendi si applica l’esenzione prevista, con riferimento all’imposta sostitutiva sul risultato della gestione, per gli organismi d’investimento collettivo mobiliare residenti, dall’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 461 del 1997, vigente ratione temporis.».

Questo il principio enunciato dalla Quinta Sezione della Corte di Cassazione nella corposa sentenza n. 21642 del 7 luglio 2022 (Pres. Virgilio, Rel. Cataldi).

Il caso è quello di un fondo di investimento tedesco di tipo “aperto” (non essendo previste limitazioni al rimborso delle relative quote), costituente un patrimonio separato e soggetto all’Autorità tedesca di vigilanza sugli istituti finanziari, sicché esso era da considerare omologo ai fondi comuni d’investimento mobiliare italiani disciplinati dalla legge n. 77 del 1983.

Tutte le quote del fondo erano detenute da un solo investitore, una società di capitali tedesca operante nel settore delle assicurazioni. I dividendi distribuiti dalle società partecipate italiane sono giunti all’ Investitore al netto della ritenuta alla fonte del 15 per cento. Viceversa, se l’Investitore, anziché investire nelle società italiane a mezzo di un fondo di investimento tedesco, avesse investito in dette società tramite un omologo fondo di investimento di diritto italiano, avrebbe beneficiato di un trattamento fiscale più favorevole.

In questa seconda ipotesi, infatti, avrebbe trovato applicazione il regime speciale di esenzione anche dall’imposta sostitutiva previsto dall’art. 9, comma 4, d.lgs. 21 novembre 1997, n. 461, nella versione applicabile ratione temporis, a mente del quale “nel caso di organismi d’investimento collettivo mobiliare le cui quote o azioni siano sottoscritte esclusivamente da soggetti non residenti …. gli organismi medesimi sono esenti dall’imposta sostitutiva sul risultato della gestione altrimenti dovuta con le aliquote del 12,50”.

Presentata la richiesta di rimborso per le ritenute subite, la vicenda giudiziaria nei gradi di merito aveva visto infine prevalere le tesi dell’Agenzia delle Entrate.

La CTR aveva rilevato che « essendo la materia regolata da un accordo bilaterale tra i due Stati si presume che si sia operato tenendo conto del carico tributario complessivo, anche al fine di evitare trattamenti sperequativi». Ma la Corte censura questa affermazione, poiché la stipulazione di una convenzione internazionale contro le doppie imposizioni non comporta necessariamente la conformità del sistema tributario nazionale ai principi espressi dall’art. 63 T.F.U.E. in materia di libera circolazione dei capitali; né esclude comunque l’assenza di ogni possibile restrizione tra Stati membri. Sicché l’ obbligo di verifica in materia (e quello, eventualmente conseguente, di ricorrere all’interpretazione adeguatrice della norma internazionale pattizia, nei limiti indicati), gravante sul giudice nazionale, non può essere sostanzialmente vanificato attraverso l’applicazione di una presunzione di legittimità che non ha alcun fondamento, né legale, né logico-giuridico.

La C.T.R., secondo il Giudici di Legittimità, non ha allora fatto buon governo neppure di dei principi che governano la restrizione alla circolazione di capitali, per i quali « ai fini della valutazione della comparabilità oggettiva di fattispecie soggette ad un trattamento differenziato, occorre tener conto unicamente dei criteri di distinzione previsti dalla normativa tributaria nazionale ai fini della tassazione dei dividendi distribuiti» (Corte giustizia, 10/04/2014, C-190/2012, Emerging Markets, cit., paragrafo 61 ss.).

Ciò nella parte in cui ha imputato alla ricorrente di non aver specificato il trattamento fiscale riservato dalla Germania all’Investitore, e quindi di non aver messo il giudicante nelle condizioni di comprendere quale fosse l’ imposta tedesca, che avrebbe determinato il «carico complessivo» fiscale. Più in generale, poi, secondo la Corte il giudice a quo ha errato nel ridurre, in maniera invero semplicistica, la verifica circa la sussistenza o meno del diritto del fondo di investimento non residente al trattamento fiscale più favorevole ad una mera quaestio facti, per poi imputare alla ricorrente di non aver adempiuto l’onere di provare «in modo univoco e certo un trattamento tributario sperequato sulla base della nazionalità». Viceversa, il punto decisivo della controversia imponeva piuttosto di esaminare, prima di ogni altra questione di fatto, il richiamato complesso normativo, nazionale e comunitario, tenendo conto anche dell’elaborazione della giurisprudenza comunitaria e interna.

Per la Sezione Tributaria “integra una restrizione dei movimenti di capitali, contrastante con l’art. 63, paragrafo 1, T.F.U.E., l’applicazione della ritenuta (nell’aliquota massima del 15 per cento), di cui all’art. 10, paragrafo 2 della Convenzione tra Italia e Germania sulle doppie imposizioni, sull’ammontare lordo dei dividendi pagati da società residenti italiane ad un fondo comune d’investimento mobiliare aperto tedesco non residente, qualora quest’ultimo si trovi nelle medesime condizioni nelle quali l’omologo organismo d’investimento collettivo mobiliare residente, essendo le sue quote od azioni sottoscritte esclusivamente da soggetti non residenti di cui al comma 3 dell’art. 9 d.lgs. n. 461 del 1997 vigente ratione temporis, sarebbe esente, ai sensi del successivo comma 4 dello stesso art. 9 d.lgs. n. 461 del 1997, dall’imposta sostitutiva sul risultato della gestione prevista (nell’aliquota massima del 12,50 per cento), dall’ art. 9, secondo comma, legge n. 77 del 1983, applicabile ratione temporis”

Emerge, infatti, al ricorrere delle medesime condizioni oggettive, una differenza di trattamento fiscale a svantaggio del fondo non residente gestito dalla ricorrente, atteso che le due imposizioni comparate (quella sostitutiva sul risultato della gestione, dalla quale è esentato l’organismo d’investimento residente, e la ritenuta sui dividendi, imposta a quello non residente) attingono sostanzialmente il medesimo reddito da capitale, poiché i dividendi percepiti dal fondo residente confluiscono comunque nel risultato della gestione e vengono pertanto tassati ( fatta salva l’esenzione in parola), nel

contesto di quest’ultimo, con l’imposta sostitutiva.

 

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