Diversa la concezione civilistica e quella tributaria di “imprenditore commerciale”. L’elemento “organizzazione” è indispensabile per il diritto civile, non per quello tributario

by admintrib

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nella Ordinanza 8 marzo 2023, n. 6874 (Pres. Napolitano Rel. La Torre) esamina il caso di un privato il quale, avendo negli anni operato una nutrita serie di transazioni su opere d’arte, è stato inquadrato come imprenditore ai fini dell’accertamento fiscale.

Gli spunti interessanti della pronuncia sono molti (c’è un interessante riferimento alla sentenza 10/2023 della Corte Costituzionale): tra questi segnaliamo la trattazione del motivo in relazione al quale il contribuente sarebbe da qualificare come collezionista e non come Per la Corte la legislazione fiscale e quella civilistica non sono coincidenti: l’art. 2082 c.c. considera imprenditore chi svolge un’attività economica organizzata in modo professionale, mentre l’art. 55 TUIR non richiede il requisito dell’organizzazione, ma la mera professione abituale delle attività di cui all’art. 2195 c.c., anche non svolta in modo esclusivo.

E’ pacifico nella giurisprudenza della Corte – anche sulla base della normativa e della giurisprudenza unionale in materia di IVA – che la nozione civilistica e quella tributaristica di “imprenditore commerciale” divergano per un aspetto essenziale, ossia quello della necessità dell'”organizzazione”, essendo tale requisito indispensabile per il diritto civile, non indispensabile per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la “professionalità abituale” dell’attività economica, anche senza l'”esclusività” della stessa (v. sul piano normativo l’art. 55, già art. 51, TUIR, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4; nella giurisprudenza di questa Corte, Sez. 5″ Sentenza n. 19237 del 07/11/2012; Sez. 5 Sentenza n. 25777 del 05/12/2014; n. 8982 del 06/04/2017; n. 15021/2020; n. 36502 2022).

La giurisprudenza ha in più occasioni ribadito che l’art. 55 del T.U.I.R. intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma d’impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo che costituisce, invece, elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale ancorchè non esclusiva (da ultimo Cass. n. 36992 del 2022; Cass. 20 dicembre 2006, n. 27211).

Proprio con riferimento al mercante d’arte la Corte ne ha riconosciuto la qualità di imprenditore commerciale in presenza di una rudimentale organizzazione aziendale e dell’acquisto, per la rivendita, di numerose opere d’arte, nonché dello svolgimento di attività promozionali (Cass. n. 15769 del 13/08/2004). Nella indicata sentenza la Corte ha rilevato che la “reiterazione di atti, oggettivamente suscettibili di essere qualificati come atti d’impresa – i quali possono aversi anche prima che si siano instaurati rapporti con i terzi destinatari del prodotto dell’impresa stessa, allorché siano stati posti in essere atti economici preparatori che permettano di individuare l’oggetto dell’attività ed il suo carattere commerciale – rende manifesto che non si tratta di operazioni isolate, ma di attività professionalmente esercitata”.

Questo, per i Giudici di Legittimità, vale anche con riferimento all’IVA, in quanto il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 1, in tema di IVA – così come l’analogo art. 55, comma 1, del T.U.I.R. – intende come tale “l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva”, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, anche se non esclusiva (Cass. n. 20433 del 2011; In tema di imposte sui redditi, Cass. nn. 17013 e 17894 del 2002, 27211 del 2006, 19237 del 2012). L’espressione “esercizio per professione abituale” dell’attività va intesa, più semplicemente, come esercizio dell’attività in via abituale, cioè non meramente occasionale. Occorre, cioè, che l’attività sia svolta con caratteri di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità (cfr. Cass. 6853/2016, in motivazione). Inoltre, non può escludersi la qualità di imprenditore in colui il quale compia un unico affare, di non trascurabile rilevanza economica, a seguito dello svolgimento di un’attività che abbia richiesto una pluralità di operazioni (in tal senso, con specifico riguardo all’IVA, cfr. Cass. nn. 1987 del 1984; 3690 del 1986; 2021, 3406 e 4407 del 1996; 10430 del 2001; 9776 del 2003).

La Corte di Giustizia ha precisato che per impresa debba intendersi “qualsiasi entità esplicante un’attività economica, indipendentemente dallo stato giuridico di questa entità e dal suo modo di finanziamento” (CGCE 23 Aprile 1991, Klaus Haner e Fritz Elser c. Macroton GmbH, causa C-41/90). Ai sensi di questa nozione, non rileva né la forma giuridica né il tipo di attività svolta, nè l’organizzazione interna o le finalità perseguite dal soggetto; a rilevare è soltanto l’attività economica posta in essere, la quale permette di “caratterizzare la nozione in senso funzionale e quindi dare uno spettro applicativo assai più esteso alla disdiplina comunitaria”. Più nello specifico, all’interno della nozione di attività economica si rintraccia “qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi in un determinato mercato” (CGCE, 16 giugno 1987, C118/85, Commissione delle Comunità Europee contro Repubblica italiana). Secondo Corte dii giustizia UE, sentenza 26 marzo 2009, causa C-113/07, Selex Sistemi Integrati/Commissione e Eurocontrol), la nozione di impresa comprende qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (sentenze 23 aprile 1991, causa C-41/90, Hoffner e Elser, Racc. pag. 1-1979, punto 21; 16 novembre 1995, causa C-44/94, Federation francaise des societes d’assurances e a., Racc. pag. 16 4013, punto 14, e 11 dicembre 1997, causa C-55/96, Job Centre, Racc. pag. 1-7119, punto 21), quale attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte giustizia, sent. 16 giugno 1987, causa 118/85, Commissione/Italia, Racc. pag. 2599, punto 7; cause riunite da C-180/98 a C-184/98, Pavlov e a., Racc. pag. 1-6451, punto 75, nonchè 10 luglio 2008, causa C49/07, MOTOE, Racc. pag. 1-4863, punto 22). L’affermazione rinvenibile al punto 134 della precedente decisione della Commissione UE 14-8-2015 5546 final laddove si dice che i “soggetti che non svolgono attività economica (…) non vanno considerati come imprese”, rappresenta una chiara conferma del fatto che la nozione di impresa in ambito unionale è costruita sul concetto di attività economica, nel senso individuato dalla citata giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr. Cass sez. 5, ord. 23905 del 2017).

Ciò premesso, e preso atto che il Testo Unico delle Imposte sui Redditi non prevede una normativa specifica sulla tassazione delle compravendite di opere d’arte effettuate dai privati, la Corte ritiene siano da definire come mercante di opere d’arte colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio anche in maniera non organizzata imprenditorialmente – col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere; come speculatore occasionale, chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile. Il collezionista è, infine, chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza. L’interesse del collezionista è quindi rivolto non tanto al valore economico della res quanto a quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse all’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre.

Con questo riferimento viene precisato che il sistema fiscale italiano prevede, come anticipato, conseguenze differenti: per il primo (il mercante d’arte) si è in presenza di redditi d’impresa ex artt. 55 ss. TUIR e di passività ai fini IVA come previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4. Lo speculatore occasionale potrà generare i redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. i), TUIR non trovando però assoggettamento ai fini IVA per mancanza del requisito dell’abitualità. Il collezionista invece non sarà soggetto ad alcuna imposizione.

La dottrina ha enucleato gli elementi su cui fondare la diversa qualificazione, quali: lo scopo dell’acquisto, la frequenza e il numero delle transazioni, la durata del possesso, le attività finalizzate a facilitare la vendita e infine l’esame delle ragioni che hanno portato all’alienazione.

La giurisprudenza ha individuato il discrimine sulla base del requisito dell’abitualità, di cui all’art. 55 TUIR sopra richiamato in tema di reddito d’impresa.

La Corte di Cassazione ha così rinvenuto l’esistenza di un’attività commerciale in ragione di elementi significativi idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità dell’attività d’impresa: numero delle transazioni effettuate, importi elevati, quantitativo di soggetti con cui venivano intrattenuti rapporti, varietà della tipologia di beni alienati, statuendo che non rileva, ai fini impositivi, che il profitto conseguito venga capitalizzato in beni e non in denaro, in quanto porta sempre intrinsecamente un arricchimento del patrimonio personale del soggetto (Cass. 31 marzo 2008, n. 8196). E’ così stata rinvenuta un’attività commerciale in presenza simultaneamente della rilevanza dell’investimento e dell’esclusione dell’utilizzo nella sfera personale dei beni oggetto di compravendita (Cass. 20 dicembre 2006, n. 27211).

 

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