Dismissione di beni non più utilizzabili: nessun obbligo di rettifica alla detrazione IVA nei casi di vendita imponibile o di distruzione (purché debitamente provata) del rifiuto

by admintrib

L’articolo 185, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che:

lo scarto di un bene, che secondo il soggetto passivo è divenuto inutilizzabile nell’ambito delle sue attività economiche abituali, seguito dalla vendita di tale bene in quanto rifiuto, la quale è stata assoggettata all’imposta sul valore aggiunto (IVA), non comporta che siano «mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni», ai sensi di tale disposizione;

lo scarto di un bene, che secondo il soggetto passivo era divenuto inutilizzabile nell’ambito delle sue attività economiche abituali, seguito dalla distruzione volontaria di tale bene, comporta che siano «mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni», ai sensi del paragrafo 1 di tale articolo. Tuttavia, una siffatta situazione costituisce una «distruzione», ai sensi del paragrafo 2, primo comma, di detto articolo, indipendentemente dal suo carattere volontario, cosicché tale modifica non comporta un obbligo di rettifica purché tale distruzione sia debitamente provata o giustificata e il suddetto bene avesse oggettivamente perso qualsiasi utilità nell’ambito delle attività economiche del soggetto passivo. Lo smaltimento debitamente provato di un bene deve essere equiparato alla sua distruzione purché implichi concretamente la sparizione irreversibile di tale bene;

esso osta a disposizioni di diritto nazionale che prevedono la rettifica dell’IVA detratta a monte in occasione dell’acquisto di un bene, qualora quest’ultimo sia stato oggetto di scarto, poiché il soggetto passivo ha ritenuto che esso fosse divenuto inutilizzabile nell’ambito delle sue attività economiche abituali, e, successivamente, tale bene o sia stato oggetto di una vendita assoggettata all’IVA, o sia stato distrutto o smaltito in modo tale da comportarne concretamente la sparizione irreversibile, purché tale distruzione sia debitamente provata o giustificata e il bene in questione avesse oggettivamente perso ogni utilità nell’ambito delle attività economiche del soggetto passivo”.

Questo quanto stabilito dalla Nona Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza 381 del 4 maggio 2023 resa nella causa C-127/22.

Nei fatti una società di diritto bulgaro operante nel settore delle telecomunicazioni, in seguito alla dismissione di diversi beni (impianti, attrezzature o apparecchi considerati inadatti all’uso in alcuni casi venduti come rifiuti ad imprese terze soggette ad imposta, in altri distrutti o smaltiti) nel periodo compreso tra l’ottobre 2014 e il dicembre 2017, operava alcune rettifiche implicanti la restituzione dell’IVA detratta a monte. Successivamente, lamentando l’incompatibilità della normativa bulgara con la Direttiva IVA, la società presentava istanza di rimborso delle somme pagate nell’ambito di dette rettifiche (circa EUR 666.770,00). Avverso il diniego la società presentava ricorso, poi respinto, al Tribunale Amministrativo di Sofia. Veniva dunque proposta impugnazione dinanzi alla Corte suprema amministrativa di Bulgaria la quale decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte UE alcune questioni pregiudiziali.

In particolare il giudice del rinvio chiedeva alla Corte:

1) Se l’articolo 185, paragrafo 1, della direttiva [IVA] debba essere interpretato nel senso che l’eliminazione di beni, intesa quale storno dal bilancio di un soggetto passivo di beni economici o giacenze di magazzino, in quanto da essi non ci si attende più alcuna utilità economica poiché, ad esempio, sono usurati, difettosi o (…) non possono essere utilizzati per gli scopi previsti, rappresenti una modifica degli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni collegate all’imposta sul valore aggiunto già assolta all’atto dell’acquisto dei beni ai sensi di tale disposizione, modifica intervenuta successivamente alla presentazione della dichiarazione [IVA] e che comporta pertanto l’obbligo di rettificare tale detrazione ove i beni eliminati siano stati poi venduti [nel contesto di] una cessione imponibile.

2) Se l’articolo 185, paragrafo 1, della direttiva [IVA] debba essere interpretato nel senso che l’eliminazione di beni, intesa [come indicato nell’ambito della prima questione] rappresenti una modifica degli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni collegate all’imposta sul valore aggiunto già assolta all’atto dell’acquisto dei beni ai sensi di tale disposizione, modifica intervenuta successivamente alla presentazione della dichiarazione [IVA] e che comporta pertanto l’obbligo di rettificare la detrazione ove i beni eliminati siano stati poi distrutti o smaltiti e questa circostanza sia stata debitamente provata o giustificata.

3) In caso di risposta affermativa alla prima o alla seconda questione, oppure a entrambe, se l’articolo 185, paragrafo 2, della direttiva [IVA] debba essere interpretato nel senso che l’eliminazione di beni alle condizioni sopra indicate rappresenta un’ipotesi di distruzione o di perdita di un bene debitamente provata o giustificata che non implica alcun obbligo di rettifica della detrazione collegata all’imposta sul valore aggiunto assolta all’atto dell’acquisto dei beni.

4) Se l’articolo 185, paragrafo 2, della direttiva [IVA] debba essere interpretato nel senso che, in ipotesi di distruzione o perdita di un bene debitamente provate o giustificate, non occorre procedere alla rettifica della detrazione soltanto se la distruzione o la perdita sono state causate da eventi indipendenti dalla volontà del soggetto passivo e non sono da quest’ultimo prevedibili, né tantomeno evitabili.

5) In caso di risposta negativa alla prima o alla seconda questione, oppure a entrambe, se l’articolo 185, paragrafo 1, della direttiva [IVA] osti a disposizion[i] nazional[i] come quella dell’articolo 79, paragrafo 3, dello ZDDS, [nella sua versione anteriore] o dell’articolo 79, paragrafo 1, dello ZDDS (…) , che  – in caso di eliminazione di beni – preved[ono] un obbligo di rettifica della detrazione anche quando i beni sono stati poi venduti a titolo di cessione imponibile (…) o sono stati distrutti o smaltiti e questa circostanza è stata debitamente provata o giustificata».

In merito alla prima questione (beni smaltiti e ceduti nell’ambito di operazioni imponibili) la Corte ha ricordato come “le norme previste dalla direttiva IVA in materia di rettifica mirano ad aumentare la precisione delle detrazioni, così da assicurare la neutralità dell’IVA, di modo che le operazioni effettuate allo stadio anteriore continuino a dare luogo al diritto di detrazione soltanto nei limiti in cui esse servano a fornire prestazioni soggette a tale imposta”.

In particolare, come ribadito dai Giudici, “per quanto riguarda la nascita di un eventuale obbligo di rettifica della detrazione dell’IVA assolta a monte, l’articolo 185, paragrafo 1, della direttiva IVA stabilisce la regola secondo la quale tale rettifica deve essere operata in particolare quando, successivamente alla dichiarazione dell’IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo della suddetta detrazione”.

I Giudici del Lussemburgo, evidenziato nel caso di specie che i beni fossero alla fine stati venduti come rifiuti dal soggetto passivo nell’ambito di operazioni imponibili, hanno quindi confermato la validità della condizione che consente l’applicazione e il mantenimento del diritto a detrazione ricordando che “il sistema comune dell’IVA è volto a garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dalle finalità o dai risultati delle medesime, purché siffatte attività siano, in linea di principio, a loro volta soggette all’IVA (sentenza del 17 ottobre 2018, Ryanair, C‑249/17)”; a nulla rilevando “che la vendita di rifiuti non rientri nelle attività economiche abituali del soggetto passivo che procede a tale vendita o che il valore di realizzazione dei beni di cui trattasi sia ridotto rispetto al loro valore iniziale, per il fatto che essi sono venduti come rifiuti, o che, per lo stesso motivo, la loro natura iniziale sia stata modificata”.

La Corte, alla luce delle considerazioni svolte, ha quindi chiarito che “l’articolo 185, paragrafo 1, della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che lo scarto di un bene, che secondo il soggetto passivo è divenuto inutilizzabile nell’ambito delle sue attività economiche abituali, seguito dalla vendita di tale bene in quanto rifiuto, la quale è stata assoggettata all’IVA, non comporta che siano «mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni», ai sensi di tale disposizione”.

I Giudici hanno poi esaminato congiuntamente le questioni dalla seconda alla quarta (beni distrutti) ricordando come “la distruzione di un bene comporta necessariamente il venir meno di ogni possibilità di utilizzarlo nell’ambito di operazioni soggette ad imposta” (Sentenza del 4 ottobre 2012, PIGI, C-550/11), circostanza questa che “comporta un’interruzione del rapporto stretto e diretto tra il diritto alla detrazione dell’IVA versata a monte e l’utilizzazione dei beni o dei servizi di cui trattasi per operazioni tassate a valle” e quindi “che siano «mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni», ai sensi dell’articolo 185, paragrafo 1, della direttiva IVA”; allo stesso tempo “ciò è peraltro confermato dalla menzione, al paragrafo 2 di tale articolo, della distruzione tra le possibili eccezioni all’obbligo di rettifica”.

Riguardo ai concetti di “perdita” e “distruzione” la Corte ha chiarito (in mancanza di espressa definizione normativa) come, nel linguaggio corrente, il primo “quando si riferisce ad un bene, riguarda, quanto ad esso, il fatto di essere privato di una cosa di cui si possedeva la proprietà o il godimento”, mentre il secondo “designa l’azione di alterare profondamente un oggetto, di farlo sparire demolendolo, di distruggerlo”. A ciò conseguendo che “la perdita di un bene non può derivare da un’azione volontaria del suo proprietario o possessore, mentre ciò non è escluso in caso di distruzione”.

Quanto al contesto in cui si inseriscono le eccezioni previste all’articolo 185, paragrafo 2, primo comma, della direttiva IVA e al loro obiettivo i Giudici hanno sottolineato che “le ipotesi di distruzione (ancorché volontaria, ndr.), perdita o furto corrispondono a casi di perdita economica subita, ma altresì che il verificarsi di tali casi deve essere debitamente dimostrato o giustificato, in applicazione del primo comma di tale disposizione”.

Nel caso di specie i Giudici del Lussemburgo hanno quindi evidenziato “che la modalità di smaltimento di un bene quali la messa in discarica di quest’ultimo conducano alla sua «distruzione», ai sensi dell’articolo 185, paragrafo 2, primo comma, della direttiva IVA, dal momento che esse comportano concretamente la sparizione irreversibile di tale bene”.

La Corte ha dunque affermato il principio secondo cui “l’articolo 185 della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che lo scarto di un bene, che secondo il soggetto passivo è divenuto inutilizzabile nell’ambito delle sue attività economiche abituali, seguito dalla distruzione volontaria di tale bene, comporta che siano «mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni», ai sensi del paragrafo 1 di tale articolo. Tuttavia, una siffatta situazione costituisce una «distruzione», ai sensi del paragrafo 2, primo comma, di detto articolo, indipendentemente dal suo carattere volontario, cosicché tale modifica non comporta un obbligo di rettifica purché tale distruzione sia debitamente provata o giustificata e il suddetto bene avesse oggettivamente perso qualsiasi utilità nell’ambito delle attività economiche del soggetto passivo. Lo smaltimento debitamente provato di un bene deve essere equiparato alla sua distruzione purché implichi concretamente la sparizione irreversibile di tale bene”.

Infine per quanto attiene alla quinta questione, sulla scorta delle considerazioni precedentemente svolte, i Giudici hanno confermato come l’articolo 185 della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che “esso osta a disposizioni di diritto nazionale che prevedono la rettifica dell’IVA detratta a monte in occasione dell’acquisto di un bene, qualora quest’ultimo sia stato oggetto di scarto, poiché il soggetto passivo ha ritenuto che esso fosse divenuto inutilizzabile nell’ambito delle sue attività economiche abituali, e, successivamente, tale bene o sia stato oggetto di una vendita assoggettata all’IVA, o sia stato distrutto o smaltito in modo tale da comportarne concretamente la sparizione irreversibile, purché tale distruzione sia debitamente provata o giustificata e il bene in questione avesse oggettivamente perso ogni utilità nell’ambito delle attività economiche del soggetto passivo”.

(commento a cura del Dott. Lorenzo Tortelli)

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