“Ai fini di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21 la clausola penale (nella specie inserita in un contratto di locazione) non è soggetta a distinta imposta di registro, in quanto sottoposta alla regola dell’imposizione della disposizione più onerosa prevista dal comma 2 della norma citata”.
Questo il principio di diritto affermato nella sentenza n. 31145 del 8 novembre 2023 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Stalla, Rel. Balsamo), accogliendo il ricorso del contribuente già soccombente (o parzialmente soccombente) nei due gradi di merito
Si rammenta che, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del DPR 131/86, “Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto”. Il comma 2 prosegue prevedendo che: “Se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa”.
Nel caso specifico ‘Amministrazione Finanziaria contestava l’omessa registrazione di una clausola penale contenuta in tutti i contratti di locazione con la seguente motivazione (contenuta in un documento allegato a ciascun avviso, fatta eccezione per l’atto n. (Omissis)): “nel contratto di locazione è enunciata una clausola penale…. Ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, comma 1 e art. 22 essa è soggetta ad autonoma imposizione ai fini dell’imposta di registro. Trova applicazione la disciplina degli atti sottoposti a condizione sospensiva di cui all’art. 27 del richiamato D.P.R., secondo cui gli atti sottoposti a tale condizione sono registrati con il pagamento dell’imposta in misura fissa, pari ad Euro 200 ex art. 11 Tar. Parte I D.P.R. n. 131 del 1986. Si liquida anche la sanzione del 30% ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 3”.
La Corte analizza in maniera molto approfondita la disposizione normativa, partendo addiruttura dalla omologa previsione contenuta nell’art. 9 del R.D. 30/12/1923, n. 3269.
A conclusione della pregevole analisi rileva che la clausola penale ha, secondo la previsione codicistica, lo scopo di sostenere l’esatto, reciproco, tempestivo adempimento delle obbligazioni “principali”, intendendosi per tali quelle assunte con il contratto cui accede.
Essa non ha quindi una causa “propria” e distinta (cosa che invece potrebbe accadere in diverse ipotesi, pur segnate da accessorietà, come quella di garanzia), ma ha una funzione servente e rafforzativa intrinseca di quella del contratto nel quale è contenuta; dovendosi desumere pertanto che più che discendere dall’inadempimento dell’obbligazione assunta contrattualmente, la clausola penale si attiva sin dalla conclusione del contratto in funzione dipendente dall’obbligazione contrattuale. Le clausole penali non possono sopravvivere autonomamente rispetto al contratto e ad esse deve applicarsi la disciplina generale dell’oggetto del contratto (v. Cass. dell’08/10/2020, n. 21713, in motiv.), tenuto conto che trovano la loro fonte e radice nella medesima causa del contratto rispetto alla quale hanno effetto ancillare. Esse attengono dunque, per loro inscindibile funzione ed “intrinseca natura” (ed in ciò palesano la loro essenza, appunto, di ‘clausole’ regolamentari di una prestazione più che di ‘disposizionì negoziali) all’unitaria disciplina del contratto al quale accedono; venendo per il resto a prestabilire e specificare una prestazione ovvero un obbligo, quello risarcitorio, altrimenti regolato direttamente dalla legge.
Tali prestazioni sono, pertanto, riconducibili ad un unico rapporto, caratterizzato da un’unica causa, atteso che il legislatore ha concesso alle parti di innestare la predeterminazione del danno risarcibile direttamente nel contenuto del disciplinare di contratto, di talchè non potrebbe affermarsi che le disposizioni – contratto e connessa clausola penale – siano rette da cause diverse e separabili; quindi con l’effetto di doverle considerare derivanti, per loro intrinseca natura, le une dalle altre (in senso conforme Cass. del 13/11/1996, n. 9938).
Nel caso di inadempimento, si instaura una relazione di alternatività-esclusione tra le obbligazioni originate dal contratto e quella da penale, atteso che il creditore può domandare e ottenere la prestazione principale o la penale, ma non entrambe, in virtù del divieto di cumulo previsto dall’art. 1383 c.c..
Ciò conferma che la funzione della clausola in esame – desumibile dal dettato degli artt. 1382 – 1386 c.c. – non può ritenersi eterogenea rispetto all’obbligazione nascente dal contratto di locazione a cui accede, perchè sul piano giuridico, l’obbligazione insorgente dalla clausola penale, sebbene sia si attivi conseguentemente all’inadempimento dell’obbligazione, non si pone come causa diversa dall’obbligazione principale, alla luce della funzione ripristinatoria e deterrente-coercitiva rispetto all’adempimento sua propria, dunque finalizzata a disincentivare e ‘ripararè l’inadempimento, oltre che introdotta dal legislatore come elemento contrattuale volto a ridurre la conflittualità in caso di inadempienza, tutelando anche in ciò, ab initio, la parte adempiente. E’ dunque la stessa disposizione di legge che correla gli effetti della clausola penale all’inadempimento contrattuale, con la conseguenza che, assumendo appunto la clausola penale una funzione puramente accessoria e non autonoma – come confermato da Cass. del 26.09.2005, n. 18779 – rispetto al contratto che la prevede, l’obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all’obbligazione principale. Obbligazione principale che difatti, se per qualsiasi ragione (diversa dall’inadempimento) travolta, non può che rendere per ciò solo al pari inoperante la penale; il che equivale ad osservare che se certo può sussistere, com’è ovvio, un contratto senza penale (tranne che nei casi in cui questa sia imposta direttamente dalla legge, come in materia di appalti pubblici), non può al contrario sussistere quest’ultima senza il contratto, di cui segue per intero le sorti, anche nel caso di sua invalidazione o cessione.
Neppure potrebbe ritenersi violato, in questa prospettiva di derivazione necessaria non biunivoca, il principio ex art. 53 Cost., posto a presidio anche dell’imposizione di registro.
Non solo perché, salvo il limite dell’arbitrio e della irragionevolezza, il legislatore è libero, come più volte ricordato dal Giudice delle leggi, di discrezionalmente individuare le fattispecie impositive (e, nel caso di derivazione necessaria ex art. 21, comma 2″, esso mostra appunto di volersi limitare al prelievo più gravoso, rinunciando agli altri), ma anche perché la clausola penale – sia e proprio per la sua natura risarcitoria e dunque meramente reintegrativa di un patrimonio diminuito dall’inadempimento, sia per il suo tipico effetto di esonero probatorio – non esprime di per sè alcuna ricchezza significativa di forza economica e capacità contributiva (o, quantomeno, non più di quelle espresse per il caso di regolare adempimento del contratto).