Cessazione dell’attività: il credito Iva esposto in dichiarazione è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale ed equivale alla domanda di rimborso.

by admintrib

“La domanda di rimborso del credito d’imposta maturato dal contribuente deve considerarsi già presentata con la compilazione del corrispondente quadro della dichiarazione annuale (“RX4”), la quale configura formale esercizio del diritto, con la precisazione che, ove si tratti – come nel caso di specie – di richiesta di rimborso relativa all’eccedenza d’imposta risultata alla cessazione dell’attività, la fattispecie è regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, e la richiesta è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale, non a quello biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile in via sussidiaria e residuale, solo in mancanza di disposizione specifiche; e ciò in quanto l’attività non prosegue, sicché non sarebbe possibile portare l’eccedenza in detrazione, e tanto meno in compensazione, l’anno successivo…non essendo neppure necessaria la presentazione del modello VR che costituisce, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, solo un presupposto per l’esigibilità del credito e, dunque, un adempimento prodromico al procedimento di esecuzione del rimborso”.

Questi i principi di diritto riaffermati con ordinanza n. 19766 del 11 luglio 2023 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Manzon, Rel. Luciotti).

Nei fatti la controversia aveva ad oggetto l’impugnazione del provvedimento con cui l’Agenzia delle entrate aveva negato (perché presentata oltre il termine di decadenza biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546/1992) il rimborso del credito IVA di euro 39.369,00 che la contribuente aveva indicato nel quadro RX della dichiarazione del 2009 relativa all’anno d’imposta 2008 chiedendolo però in compensazione/detrazione anziché a rimborso. Sia l’esito della CTP che della CTR risultavano favorevoli alla contribuente. L’Agenzia ricorreva dunque per cassazione deducendo a violazione e falsa applicazione degli artt. 38 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 2, commi 8 e 8 bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, in combinato disposto dagli artt. 1427 e 1324 cod. civ.

Come ricordato dalla Corte la soluzione ermeneutica che, in caso di cessazione dell’attività, equipara l’indicazione del credito IVA nel quadro RX alla richiesta di rimborso e sottopone la sessa al termine di prescrizione decennale (Cass. n. 9941 del 2015, n. 2005 del 2014; nn. 7684, 7685 e 14070 del 2012; nn. 13920 e 20039 del 2011; nn. 9794 e 25318 del 2010; n. 27948 del 2009; Cass. nn. 4592 e 4857 del 2015; nn. 10653, 20069 e 26867 del 2014; n. 14070 del 2012; n. 20039 del 2011) è coerente con il diritto eurounitario “poiché, se è vero che gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare l’osservanza degli obblighi di dichiarazione e di pagamento, l’esatta riscossione dell’imposta e la prevenzione di frodi, tuttavia è pur vero che tali misure non possono eccedere gli obiettivi sopra indicati (Corte di giustizia, C-590/14, Idexx; C- 95/07 e C-96/07, Ecotrade; C- 146/05, Coilee), essendo il diritto al ristoro dell’Iva versata “a monte” basilare nel sistema comunitario, in forza del principio di neutralità (Corte di giustizia, C- 438/09, Dankowski, C-286/94, C-340/95, C- 401/95, C-47/96, Molenheide e altri)”.

I Giudici hanno dunque chiarito che “deve quindi ritenersi ormai definitivamente superato il diverso e più risalente orientamento secondo cui, in caso di cessazione dell’attività, solo una domanda di rimborso conforme al modello ministeriale corrisponderebbe allo schema tipico delineato dall’art. 30 del decreto IVA, con la conseguenza che la domanda difforme resterebbe assoggettata alla decadenza biennale prevista, in via residuale, dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21” e che, quanto al termine prescrizionale, “il credito Iva esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, mentre non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, in quanto l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto, ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso”.

La Corte, in conclusione, ha pertanto rigettato il ricorso presentato dall’Agenzia.

(commento a cura del Dott. Lorenzo Tortelli)

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