Anche gli ultimi dubbi in relazione alla differenza tra compensazione di crediti inesistenti e di crediti non spettanti vengono chiariti dalla Cassazione (dal lato penale)

by admintrib

Come abbiamo già avuto occasione di mettere in evidenza, la questione della diversità tra crediti inesistenti e crediti non spettanti è stata recentemente oggetto di una precisa presa di posizione della Sezione tributaria della Corte di Cassazione. Con le sentenze n. 34444 e n. 34445, entrambe depositate il 16 novembre 2021, la Sezione Quinta civile-tributaria ha infatti chiarito – ponendosi espressamente in contrasto con i precedenti della stessa Corte (si vedano Cass. n. 10112/2017, n. 19237/2017, n. 24093/2020 e n. 354/2021) – che nel nostro ordinamento sussiste la dicotomia tra credito non spettante e credito inesistente.

La Corte in particolare ha rilevato come la definizione di credito inesistente si desume dall’art. 13, comma 5, D.Igs. n. 471/1997, come novellato nel 2015, secondo cui si considera tale il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972.

Ora, la diversità di inquadramento si rivela particolarmente importante ai fini della decadenza dell’azione di recupero di crediti usati in compensazione. Infatti il credito inesistente portato in compensazione, ai sensi dell’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008 può essere oggetto di atto di recupero  notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo, invece che nei termini ordinari. Inoltre anche in termini sanzionatori (parliamo per adesso di sanzioni amministrative) le somme in gioco sono ben maggiori. Per le violazioni commesse dal 29 novembre 2008 è irrogata, infatti, ai sensi dell’art. 27, comma 18, primo periodo, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, la sanzione dal 100 al 200% dell’importo dei crediti inesistenti utilizzati in compensazione. Senza che si possa neppure definire la sanzione stessa con la riduzione al terzo in acquiescenza.

La questione, così come delineata dalla Sezione Tributaria, lasciava un residuo dubbio in relazione alla questione del recupero ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. 600/73. In realtà per questi crediti l’Agenzia delle Entrate non ricorre a questa procedura, ma notifica degli “atti di recupero” che non vanno nel normale solco: avviso bonario -> cartella di pagamento.

Allora qualche elemento in più, probabilmente decisivo, è arrivato dal versante penale. Infatti come è noto, per l’Art. 10 quater D.lgs. 74/2000 “E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro”. 

Ebbene, recentemente alcune sentenze della III Sezione Penale (cfr. 4464 del 9 febbraio 2022 e altre) hanno identificato come elemento soggettivo di questo reato il dolo. Ovvero si ha compensazione di crediti inesistenti quando l’utilizzatore è cosciente dell’inesistenza del credito. Quindi quando il credito è inventato o fraudolentemente sovradeterminato.

Su questo versante e ancora più chiara arriva la Sentenza 7615 depositata il 9 marzo 2022 ancora della III Sezione Penale (Pres. Di Nicola Rel. Scarcella).

Secondo la Corte “devono dunque ricorrere entrambi i requisiti per considerare inesistente il credito: a) deve mancare il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente); b) l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria”.

Viene quindi (giustamente) abbandonato il riferimento agli articoli 36-bis e 36-ter, giacché l’uso di queste procedure dipende dalle opzioni dell’Agenzia delle Entrate, a favore di un riferimento oggettivo (la presenza di quei numeri negli archivi dell’anagrafe tributaria).

Quindi se manca uno di tali requisiti, il credito deve ritenersi non spettante.

In sintesi, “per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato ad una situazione non reale o non vera, “ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza”. Non è un caso che il più ampio termine per la notifica dell’atto di recupero riguardi necessariamente una fattispecie più ristretta, evidentemente ritenuta più grave”.

Nel caso specifico un credito ricerca e sviluppo era stato simulato da una consorteria criminale. Pare che sia un caso nettamente diverso da quelli, piuttosto diffusi, nei quali un credito di questo genere si è caducato per mancato riporto in dichiarazione e viene accertato alla stregua di un credito simulato.

Per la Corte la normativa è chiara, considerando che il legislatore ha previsto termini di accertamento diversi per le due ipotesi e due sanzioni distinte, specificando peraltro ora al comma 5 dell’art. 13 che si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli automatizzati o formali sulle dichiarazioni.

Dal lato esclusivamente penale (ma che costituisce elemento utile per identificare la fattispecie) la diversità delle due ipotesi (non spettante; inesistente), “incide anche sul piano dell’elemento soggettivo, diverso nelle due ipotesi contemplate dal comma primo e dal comma secondo dell’art. 10-quater, D.Igs. n. 74 del 2000, atteso che l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotti dei crediti “non spettanti” occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa”.

 

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