Rottamazione dei ruoli a giudizio tributario pendente: si può essere condannati alle spese?

by Luca Mariotti

La risposta è sì secondo la Corte di Cassazione, almeno per quello che si legge nell’ordinanza 8377 depositata lo scorso 31 marzo 2017.

Una contribuente aveva impugnato un avviso di accertamento su redditi di impresa risultando tuttavia soccombente in entrambi i gradi di merito. Giunta in Cassazione preferisce aderire alla definizione dei ruoli prevista dall’art. 6 del Decreto legge n. 193 del 22/10/2016, convertito con modificazioni dalla Legge n. 225 dell’01/12/2016.

Si tratta di un provvedimento di definizione di “carichi” pregressi. Quindi di una occasione di accordo fisco-contribuente i cui contenuti sono precisati dalla Legge. Non lo sono del tutto per la verità in questi casi, per cui occorre rifarsi alla prassi in materia (anche per delimitare il giudizio, giacché alla prassi è vincolata l’amministrazione).

Ebbene nel corso di Telefisco 2017 l’agenzia, in merito alla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione nei casi in cui il debito da rottamare sia oggetto di un contenzioso tributario, ha affermato che la definizione può essere richiesta a condizione che il contribuente, nell’apposita dichiarazione, indichi la pendenza dei giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione ed assuma l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi.

Ancora, nella Circolare 2/E (specifica sulla rottamazione) del 8 marzo scorso l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’impegno a rinunciare non equivale strettamente alla rinuncia al ricorso. Ciò in quanto, ad assumere rilevanza sostanziale ed oggettiva, è il perfezionamento della definizione agevolata mediante il tempestivo ed integrale versamento del complessivo importo dovuto.

Quindi lo schema è quello dell’accordo di definizione e non potrebbe essere altrimenti visto che la norma (l’articolo 6 del d.l. 193) è rubricata “definizione agevolata”.

D’altro canto la stessa Corte nell’Ordinanza n. 5497 del 03 marzo 2017 (di cui Vi abbiamo già riferito) aveva preso atto della rinuncia alla lite da parte del contribuente, rinuncia che tuttavia non configura un atto processuale unilaterale e da valutare in ordine alle spese di lite, ma una modalità espressamente richiesta dalla procedura di rottamazione dei ruoli. Letteralmente “Il Collegio, preso atto di quanto sopra, ritiene che sussistano le ragioni di compensazione di cui all’art. 92 c.p.c., essendo la rinuncia inerente alla procedura di dichiarazione di adesione alla definizione agevolata, ex art. 6 del D.L. n. 193/16”.

Nel caso dell’Ordinanza 8377 del 31 marzo scorso, invece, anziché prendere atto della definizione, la Corte analizza i motivi del ricorso e in ordine a questi afferma “La parte rinunziante va tuttavia condannata alle spese processuali, liquidate come in dispositivo, in considerazione della sua soccombenza virtuale”.

Viene in altre parole applicato l’art. 306 c.p.c., con il contribuente in veste di rinunciante. In tal caso il Giudice è infatti tenuto a decidere sulle spese in base al principio della cd. soccombenza virtuale, che gli impone di verificare, in caso di prosecuzione del giudizio, quale delle parti avrebbe perso così da essere tenuta al rimborso.
Sempre in ambito processual-civilistico e anche qualificando (a nostro modo di vedere in maniera non del tutto corretta, in quanto la rinuncia è condizione di definizione) il contribuente come rinunciante la Corte avrebbe forse potuto attingere all’ art. 92 c.p.c., secondo cui per particolari e motivate ragioni il Giudice può disporre la compensazione, totale o parziale delle spese.

Ma ciò non è stato fatto.

Questo precedente non sicuramente immune da problemi evidenti sul piano dell’istituto della definizione e della interpretazione delle regole relative, ne pone altri dal lato del difensore.

Prima di aderire in corso di causa alla definizione, infatti, sarà opportuno accordarsi sulle spese. Da parte dell’Agenzia non vi dovrebbero essere problemi solo seguendo la Circolare del 8 marzo scorso in cui si precisa che l’impegno a rinunciare alla lite è funzionale alla definizione e diverso dalla rinunzia propriamente intesa in ambito processuale.

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