Sanzioni tributarie all’amministratore di fatto della “cartiera” in deroga all’art. 7 del d.l. 269/2003. Occorre però provare il coinvolgimento diretto e la fittizietà della società

by admintrib

La Sentenza 23 gennaio 2023, n. 1946 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Bruschetta, Rel. Federici) accogliendo il ricorso del contribuente detta le regole precise per applicare le sanzioni dirette all’amministratore di fatto della “cartiera”. Non si tratta più di sanzioni in concorso con la società, perché l’art. 7 del d.l. 269/2003 pone a carico della società (e solo di essa) le sanzioni tributarie.

Il passaggio interpretativo che va fatto in questo caso è quello della inesistenza sul piano giuridico della società. Provandone la fittizietà il carico afflittivo verte dunque sulla persona che si è avvantaggiata dalla (apparente) costruzione societaria. Non quindi per le società che utilizzano le fatture per operazioni inesistenti, in linea di principio e salvo che non esistano collegamenti evidenti, ma per la società “cartiera” la cui fittizietà fa parte del disegno fraudolento.

Venendo al motivo accolto con esso (il primo) il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, degli artt. 11 e 12 delle preleggi, nonché del D.Lgs. n. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 9 e 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto ai limiti applicativi del sistema sanzionatorio a carico delle persone giuridiche.

Per la Corte esso è fondato nei termini appresso chiariti.

La difesa del ricorrente sostiene che con l’introduzione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7 il legislatore abbia inteso porre esclusivamente a carico dell’ente o della società dotata di personalità giuridica le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario, escludendo per l’effetto qualunque concorso dell’amministratore di fatto, così come era invece disposto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 9. Critica pertanto la decisione impugnata, che al contrario, nel riportare un precedente della Corte di legittimità (Cass., 7 novembre 2018, n. 28331), riconduce l’applicazione delle sanzioni alla persona fisica che amministra la società nelle ipotesi in cui la compagine sociale altro non è che una costruzione artificiosa costituita per fini illeciti, e dunque una mera fictio creata nell’esclusivo interesse di quella persona fisica che intenda perseguire i propri illeciti intenti.

Questo ragionamento trova appigli in precedenti giurisprudenziali coerenti col dato letterale delle norme, secondo le regole interpretative dettate dall’art. 12 preleggi. La critica prosegue poi nell’evidenziare che l’interpretazione invocata dalla commissione regionale avrebbe richiesto in ogni caso l’accertamento della fittizietà della società, dovendosi ricondurre al contribuente persona fisica, che si nasconde dietro lo schermo sociale, il soggetto d’imposta. Invece la pronuncia avrebbe incoerentemente riconosciuto la responsabilità del soggetto qualificato come amministratore di fatto non già in via esclusiva, ma “in solido” alla società, così semplicemente estendendo all’amministratore di fatto (o presunto tale) la responsabilità già riconosciuta in capo alla società. In tal modo sarebbe stata contraddetta la premessa, ossia la esistenza meramente fittizia e non effettiva della società.

Per la Corte, con l’introduzione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, convertito poi in L. 326 del 2003, secondo cui “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica“, si è posta la questione se la suddetta disciplina, nell’innovare le regole dettate dal D.Lgs. n. 472 del 1997, ed in particolare dall’art. 11 -che prima della modifica prevedeva l’obbligo solidale del pagamento della sanzione tra l’ente, la società o l’associazione, nel cui interesse l’autore della violazione aveva agito, e l’autore medesimo- avesse definitivamente escluso l’esigibilità della sanzione dalla persona fisica, identificando esclusivamente nella compagine sociale l’unico soggetto passivo, quando dotato di personalità giuridica.

Si tratta di una questione la cui soluzione non è scontata, e ciò al di là dell’apparente chiarezza del testo normativo, tanto più che il comma 3 del citato art. 7 prevede che “nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili”.

Su di essa la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il principio secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario, proprio di società o enti con personalità giuridica,di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 7, sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto non opera nell’ipotesi di società “cartiera”, atteso che, in tal caso, la società è una mera fictio, utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto (Cass., 20 ottobre 2021, n. 29038; 22 novembre 2021, n. 36003; cfr. anche 25 luglio 2022, n. 23231).

Le argomentazioni e le conclusioni cui perviene la giurisprudenza di legittimità, sono ilpunto di arrivo di una esegesi della disciplina, che era pur partita da contrastanti letture, alcune più favorevoli all’abbandono di ogni prospettiva non aderente all’apparente semplicità del testo dell’art. 7 cit. (Cass., 25 ottobre 2017, n. 25284; 13 novembre 2018, n. 29116; indirettamente, 23 aprile 2014, n. 9122), altre che invece ritenevano coerente con il sistema delle regole sulla responsabilità, ed imprescindibile nell’interpretazione dello stesso art. 7 cit., distinguere le ipotesi in cui l’amministratore, anche di fatto, avesse operato nell’interesse della società, da quelle in cui la società fosse solo una finzione, costituita da una persona fisica quale paravento delle proprie condotte, illecitamente incidenti sugli obblighi fiscali (Cass., 28 agosto 2013, n. 19716; 8 marzo 2017, n. 5924; 18 aprile 2019, n. 10975).

Per questo secondo orientamento, il distinguo dunque si pone nella “decodificazione” della società, se essa cioè sia vera, se abbia vita e finalità economiche distinte da quelle del suo amministratore, o si riveli lo strumento artificioso, cui una persona fisica ricorre proprio per sottrarsi alle sanzioni. Il che, è ben comprensibile, non rappresenta alcuna forzatura del dato letterale dell’art. 7 cit., trovando anzi all’interno della norma medesima la sua ratio.

L’imputazione delle sanzioni direttamente all’amministratore di fatto, richiedendo dunque, al contrario, la prova della assorbente strumentalità della compagine sociale agli obiettivi illeciti di quest’ultimo, renderà necessario acquisire un adeguato quadro, quanto meno presuntivo, di tale rapporto.

Venendo allora al caso di specie, dalla sentenza, così come dagli elementi estrapolabili dalla stessa difesa erariale, si evince che il ricorrente era stato ritenuto l’amministratore di fatto non già della “cartiera” (queste invece identificate nelle società G.L. Srl e H.T. D.S.), ma della società che aveva ricevuto le fatture, soggettivamente false, dalle interposte cartiere. caso di specie la sentenza impugnata, respingendo l’appello, ha confermato la sente

Inoltre la circostanza, rappresentata e non contestata, che con l’avviso d’accertamento al soggetto qualificato come amministratore di fatto le sanzioni siano state irrogate in via solidale con la società, rappresenta una contraddizione rispetto alla ricostruzione giuridica della responsabilità diretta dell’amministratore di fatto, poiché la inapplicabilità dell’art. 7 cit. ha quale presupposto la coincidenza tra l’amministratore di fatto (di una società fittizia) e l’effettivo contribuente, ciò che si pone in logico contrasto con la responsabilità solidale dell’amministratore e la società (che dovrebbe supporsi inesistente).

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