“Robin Tax” costituzionalmente illegittima.

by Luca Mariotti

La Corte Costituzionale con la sentenza 11 febbraio 2015 n. 10 boccia la “Robin tax”. Viene quindi eliminata l’addizionale Ires dovuta dalle imprese petrolifere e del settore energetico. Si tratta delle norme della legge dei cento giorni del 2008 introdotte dal Governo Berlusconi (Dl 112/2008) e le successive modifiche apportate fino al 2011.

In particolare la norma in questione è l’art. 81, commi 16, 17 e 18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, per violazione degli artt. 3, 23, 41, 53, 77 e 117 della Costituzione.

Il citato art. 81, commi 16, e 17, nel testo oggetto di impugnazione, prevede che: “16. In dipendenza dell’andamento dell’economia e dell’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico, l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società di cui all’articolo 75 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, è applicata con una addizionale di 5,5 punti percentuali per i soggetti che abbiano conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di ricavi superiore a 25 milioni di euro e che operano nei settori di seguito indicati: a) ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi; b) raffinazione petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale; c) produzione o commercializzazione di energia elettrica. Nel caso di soggetti operanti anche in settori diversi da quelli di cui alle lettere a), b) e c), la disposizione del primo periodo si applica qualora i ricavi relativi ad attività riconducibili ai predetti settori siano prevalenti rispetto all’ammontare complessivo dei ricavi conseguiti. La medesima disposizione non si applica ai soggetti che producono energia elettrica mediante l’impiego prevalente di biomasse e di fonte solare-fotovoltaica o eolica. [fusion_builder_container hundred_percent=”yes” overflow=”visible”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”no” center_content=”no” min_height=”none”][…] 17. In deroga all’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la disposizione di cui al comma 16 si applica a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007”.

Evidentemente si prospettava da subito un problema di costituzionalità in termini ci uguaglianza (articolo 3) e di capacità contributiva (articolo 53) sanciti dalla Costituzione. Questioni che hanno trovato conferma nella sentenza di ieri. Il vizio di irragionevolezza è evidenziato dalla configurazione del tributo in esame come maggiorazione di aliquota che si applica all’intero reddito di impresa, anziché ai soli “sovra-profitti”; dall’assenza di una delimitazione del suo ambito di applicazione in prospettiva temporale o di meccanismi atti a verificare il perdurare della congiuntura economica che ne giustifica l’applicazione; dall’impossibilità di prevedere meccanismi di accertamento idonei a garantire che gli oneri derivanti dall’incremento di imposta non si traducano in aumenti del prezzo al consumo.

Una originale soluzione si pone invece, da parte della Corte, sotto un altro profilo.  Per far salvi i conti dello Stato e non generare un saldo passivo nei conti pubblici, per gli anni pregressi, di qualche miliardo di euro la Consulta ha espressamente disposto che la sentenza produrrà effetti soltanto “pro futuro”: “L’applicazione retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale – si legge nella motivazione – determinerebbe anzitutto una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione”.[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]

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