“Robin Hood Tax”: ribadita dalla Cassazione la non retroattività della pronuncia di incostituzionalità della norma, sancita dalla Consulta nel 2015

by admintrib

La Sezione Tributaria della Suprema Corte, nella Ordinanza 6 giugno 2023 n. 15698 (Pres. Cataldi, Rel. Di Marzio) torna ad occuparsi della c.d. “Robin Hood Tax” oggetto nel 2015 di una famosa pronuncia della Corte Costituzionale. Ed è proprio degli effetti di quella (discussa) sentenza nei giudizi in corso che si parla.

In uno specifico motivo di ricorso la società eccepiva, relativamente alla sentenza della CTR la violazione di legge, per avere il giudice dell’appello ritenuto non retroattivi gli effetti della decisione n. 10 del 2015 della Corte costituzionale, sebbene la controversia relativa al presente giudizio risultasse pendente e non esaurita. Il Collegio di secondo grado motivava la propria decisione rilevando che: “la Consulta… pronunciando sul giudizio di legittimità costituzionale… ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 81, commi 16, 17 e 18 a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica (G.U. n. 6 del giorno 11/02/2015)”. Inoltre la Corte territoriale argomenta che “la cessazione degli effetti delle norme dichiarate illegittime dal solo giorno della pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, risulta, quindi, costituzionalmente necessaria allo scopo di contemperare tutti i principi e i diritti in gioco, in modo da impedire, “alterazioni alla disponibilità economica” a svantaggio di alcuni contribuenti e a vantaggio di altri… garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con altri valori costituzionali.

Ancora, essa consente, inoltre, al legislatore di provvedere tempestivamente al fine di rispettare il vincolo costituzionale dell’equilibrio di bilancio, anche in senso dinamico, e gli obblighi comunitari e internazionali connessi, ciò anche eventualmente rimediando ai rilevanti vizi della disciplina tributaria in esame” (sent. CTR, p. 2).

Nel caso di specie, la pronuncia della Corte costituzionale n. 10 del 2015 ha statuito espressamente che la dichiarazione di incostituzionalità della norma impugnata produce i suoi effetti ex nunc, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. La stessa Corte costituzionale ha esplicitamente stabilito, nella motivazione della citata pronuncia n. 10 del 2015, l’efficacia della sentenza, evidenziando che la limitazione temporale dipende dal fatto che “l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 81, commi 16, 17 e 18 determinerebbe… uno squilibrio di bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva”. Pertanto alla luce di tali premesse la retroattività degli effetti della pronuncia è preclusa, in quanto sul rispetto delle esigenze di tutela del contribuente è destinata a prevalere l’esigenza di tenuta dei bilanci pubblici, considerato che la platea dei soggetti destinatari della citata normativa ha colpito una categoria imprenditoriale privilegiata (quella cioè operante nello specifico settore petrolifero ed energetico).

Proprio a proposito della decorrenza degli effetti della dichiarata illegittimità costituzionale in materia di Robin Hood Tax, la Corte di Cassazione ha assunto un orientamento che viene ritenuto ormai consolidato.

Con pronuncia Cass. sez. V, 26.8.2022, n. 25384, ad esempio, si è recentemente ribadito che “la Consulta, con la sentenza n. 10/2015”, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 81, commi 16, 17 e 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost…. I Giudici delle Leggi, con un articolato ordito argomentativo, giustificano il potere di modulare le proprie decisioni, anche sotto il profilo temporale, già esercitato in passato (sentenze n. 423 e n. 13 del 2004, n. 370 del 2003, n. 416 del 1992, n. 124 del 1991, n. 50 del 1989, n. 501 e n. 266 del 1988) con la “necessità di salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale che altrimenti risulterebbero irreparabilmente sacrificati”.

La Corte, quindi, pur considerando il principio generale della retroattività risultante dall’art. 136 Cost. e della L. n. 87 del 1953, art. 30 ritiene ammissibili gli interventi che regolano gli effetti temporali della decisione, purchè vagliati alla luce del principio di stretta proporzionalità. Essi vanno “rigorosamente subordinati alla sussistenza di due chiari presupposti: l’impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali, altrimenti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di mero accoglimento e la circostanza che la compressione degli effetti retroattivi sia limitata a quanto strettamente necessario per assicurare il contemperamento dei valori in gioco”.

Nella specie ritiene la Corte (costituzionale) che “l’applicazione retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost. Come questa Corte ha affermato già con la sentenza n. 260 del 1990, tale principio esige una gradualità nell’attuazione dei valori costituzionali che imponga rilevanti oneri a carico del bilancio statale. Ciò vale a fortiori dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), che ha riaffermato il necessario rispetto dei principi di equilibrio del bilancio e di sostenibilità del debito pubblico (sentenza n. 88 del 2014). L’applicazione retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost. Pertanto, le conseguenze complessive della rimozione con effetto retroattivo della normativa impugnata finirebbero per richiedere, in un periodo di perdurante crisi economica e finanziaria che pesa sulle fasce più deboli, una irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli operatori economici che possono avere invece beneficiato di una congiuntura favorevole. Si determinerebbe così un irrimediabile pregiudizio delle esigenze di solidarietà sociale con grave violazione degli artt. 2 e 3 Cost.”.

“Inoltre, l’indebito vantaggio che alcuni operatori economici del settore potrebbero conseguire – in ragione dell’applicazione retroattiva della decisione della Corte in una situazione caratterizzata dalla impossibilità di distinguere ed esonerare dalla restituzione coloro che hanno traslato gli oneri – determinerebbe una ulteriore irragionevole di Spa rità di trattamento, questa volta tra i diversi soggetti che operano nell’ambito dello stesso settore petrolifero, con conseguente pregiudizio anche degli artt. 3 e 53 Cost.”.

Dunque, pur non esistendo una espressa disposizione costituzionale che attribuisca alla Consulta la facoltà di differire nel tempo gli effetti delle proprie pronunce, come avviene invece in Austria, in Germania ed ora anche in Francia, limitandosi l’art. 136 Cost., comma 1, a statuire la cessazione della norma dichiarata incostituzionale dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, il Giudice delle leggi si è avvalso della facoltà, non interdetta da alcuna norma, di limitare l’effetto retroattivo delle sentenze, allo scopo di evitare che la pronuncia di incostituzionalità della norma, ove operativa su tutti i rapporti non ancora esauriti, producesse ricadute negative così rilevanti per le casse dello Stato da comprometterne l’azione, improntata al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., diretta al riequilibrio delle posizioni della fasce sociali più svantaggiate.

Del riconoscimento del potere da parte dei Giudici delle leggi di limitare gli effetti retroattivi della pronuncia d’incostituzionalità ha preso atto anche questo giudice di legittimità, affermando che “è consolidato nella giurisprudenza del Giudice delle leggi (si rimanda fra le più recenti a Corte Cost. 11.2.2015 n. 10) l’orientamento secondo cui l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale costituisce principio generale, limitato solo dalla necessità di non compromettere la certezza dei rapporti giuridici e di evitare che la retroattività della dichiarazione di incostituzionalità possa pregiudicare altri diritti di rilievo costituzionale”, e che è “riservata alla Corte Costituzionale la graduazione degli effetti temporali della dichiarazione di illegittimità, quando questa sia imposta dalla necessità di assicurare una tutela sistemica e non frazionata di tutti i diritti di rilievo costituzionali coinvolti dalla decisione”, Cass. sez. L, 8.7.2016, n. 14032.

Ne discende che l’addizionale d’imposta in esame è stata dichiarata illegittima, ma l’averla pagata dà diritto a rimborso solo a partire dalla data indicata dalla Consulta e non per i periodi antecedenti, in quanto l’illegittimità della legge è stata dichiarata solo per il periodo successivo al 12.2.2015. Opinare diversamente e, quindi, consentire ai giudici di merito di disapplicare il disposto della sentenza del giudice delle leggi, che limita temporalmente i suoi effetti, si tradurrebbe in una non consentita operazione di negazione della portata vincolante e definitiva della pronuncia del giudice costituzionale contro la quale, ai sensi dell’art. 137 Cost., comma 3, “non è ammessa alcuna impugnazione”.

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