Processo tributario “giusto”?

by Luca Mariotti

All’indomani di una riforma del contenzioso tributario (approvata in via definitiva dal Consiglio dei Ministri del 22 settembre 2015) che della “riforma” ha solo il nome, gli interrogativi tra gli operatori sulle varie fasi dell’accertamento/riscossione/contenzioso in rapporto ai principi costituzionali e dei Trattati UE rimangono molti.

Interessante è allora registrare il punto di vista dei più autorevoli.

Un documento della Fondazione Nazionale dei Commercialisti del 30 settembre 2015, raccoglie una riflessione del Dott. Mario Cicala, Presidente della sezione tributaria della Cassazione e componente del Comitato scientifico della Fondazione.

Tutto parte dalla celebre Sentenza  18 settembre 2015 n. 18448 che interpreta l’articolo 42 del DPR 600/1973 rilevando che i vizi dell’atto impositivo possono dar luogo alla dichiarazione giudiziale di nullità dell’atto stesso solo se tempestivamente e specificamente dedotti dal contribuente con il ricorso introduttivo del processo tributario, distaccando la lettura dell’atto tributario da quella generale dell’atto amministrativo (almeno in questo contesto e con riferimento all’articolo 21 della L. 241/90).

L’illustre Magistrato riflette, su questa base, su alcuni aspetti del giudizio tributario in rapporto al “giusto processo” di cui all’articolo 111 Cost. E lo fa con parole significative che vogliamo in parte trascrivere: “A questo punto, parrebbe logico proporre una sistematica riflessione sui rapporti fra il processo tributario quale plasmato dalla prassi e il principio secondo cui ogni processo deve risultare “giusto”, come prescrive l’art. 111 della Costituzione; che si ispira all’art. 6 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo recepita dall’art. 9 della Costituzione Europea secondo cui “l’Unione aderisce alla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (e quindi posto sotto lo “scudo” anche degli art. 11 e 117, 1° comma Cost.).
In buona sostanza: può dirsi “giusto” un processo squilibrato a vantaggio di una delle due parti, in cui ad esempio sono rilevabili d’ufficio solo le decadenze in cui sia incorso il contribuente?, in cui non è rilevabile d’ufficio alcuna illegittimità commessa dalla Amministrazione ed invece (almeno fino alla entrata in vigore delle norme delegate) è rilevabile d’ufficio l’abuso di diritto, fonte di obblighi tributari (così ancora la sentenza della sezione tributaria della Cassazione n. 18355 del 18 settembre 2015)?; in cui le violazioni di legge in cui sia incorsa la Amministrazione assumono rilievo solo in tassative limitate ipotesi? In cui la raccolta degli elementi probatori (ed in particolare delle dichiarazioni di persone informate dei fatti) è appannaggio, pressoché esclusivo della parte pubblica?

Beh, un dibattito sul tema sarebbe opportuno. E noi siamo a disposizione per chi lo desideri.

Ma se da tutte le parti si sente l’inadeguatezza del rito tributario non sarebbe forse l’ora di riformarlo davvero?

E poi un sommesso e rispettoso suggerimento ai Magistrati stessi: ma se davvero si sente il contrasto tra “il processo tributario quale plasmato dalla prassi” ed i principi cardine del nostro ordinamento, non si potrebbe fare più largo uso di coraggio verso una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme anziché applicarle in modo formale e talvolta pedissequo?

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