Principio di non contestazione nel processo tributario: non invocabile se vi è stata mera affermazione di fatti, i quali risultino non adeguatamente provati

by admintrib

“Per effetto della struttura dialettica del processo tributario occorre necessariamente che la verifica dei fatti posti a fondamento della domanda (o delle eccezioni) passi attraverso il vaglio di elementi diversi dalla mera affermazione che di essi faccia la parte a proprio vantaggio. In tal caso non si può quindi invocare il principio di non contestazione. Nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di un atto affermativo della pretesa fiscale (similmente a quanto accade nel processo di opposizione all’esecuzione, rispetto all’espropriazione forzata, alla cui base del pari è posto un titolo a fondamento della pretesa creditoria), il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato (preteso) mediante l’atto impositivo, atto preesistente al processo nei quali i fatti costitutivi sono già stati allegati in modo difforme da quanto dal contribuente ritenuto in sede giudiziale”.

Questo in principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, nella Sentenza 14 giugno 2023 n. 16984 (Pres. Napolitano Rel. Crivelli).

Il caso è quello di una società che si era vista contestare la natura “elusiva” dell’operazione di frazionamento dell’esercizio sociale – originariamente previsto per il periodo 1.11.2003-31.10.2004 – in due “sotto periodi” 1.11.2003 – 29.2.2004 e 1.3.2004-30.6.2004, cui la Società avrebbe dato corso per poter beneficiare, ex art. 89, TUIR, della tassazione al 5% del dividendo erogato dalla controllata statunitense, in luogo dell’imposizione al 40 % fino ad allora prevista dall’art. 96, TUIR, precedente testo, applicabile ai periodi di imposta decorrenti dal 1 gennaio 2004.

Secondo la Corte non ha pregio il richiamo della ricorrente alla non contestazione delle proprie prospettazioni difensive nei gradi di merito. Infatti viene ritenuto che la società contribuente si sia limitata ad affermare il ricorso delle condizioni per la detassazione di cui all’art. 96-bis, vecchio testo, TUIR, con particolare riferimento alla percentuale di partecipazione, alla durata della partecipazione ed alla nazionalità della partecipata, ma le stesse non appaiono provate.

Nel ricorso non si deduce di aver dimostrato, e come, le suddette circostanze (anzi, si afferma da parte della stessa contribuente che la società sarebbe stata costituita a luglio 2003, mentre la riscossione dei dividendi sarebbe avvenuta entro giugno 2004, cioè meno di un anno dopo), laddove appare evidente che il vizio di violazione di legge presuppone di necessità che non solo la parte affermi, ma anche dimostri il ricorrere dei presupposti applicativi della norma che si assume violata.

In particolare, per effetto della struttura dialettica del processo tributario, che pone le parti in identica posizione, occorre necessariamente che la verifica dei fatti posti a fondamento della domanda (o delle eccezioni) passi attraverso il vaglio di elementi diversi dalla mera affermazione che di essi faccia la parte a proprio vantaggio. In tal caso non si può quindi invocare, come sostiene la contribuente, il principio di non contestazione. Nel processo tributario, impugnatorio di un atto affermativo della pretesa fiscale (similmente a quanto accade nel processo di opposizione all’esecuzione, rispetto all’espropriazione forzata, alla cui base del pari è posto un titolo a fondamento della pretesa creditoria), il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato (preteso) mediante l’atto impositivo, atto preesistente al processo nei quali i fatti costitutivi sono già stati allegati in modo difforme da quanto dal contribuente ritenuto in sede giudiziale.

Risulta poi nella specie invece pacifica l’effettuazione dello sdoppiamento dell’esercizio, e anche qui non è provata la sussistenza di una ragione economica valida per tale operazione. In proposito va infatti ricordato che la prova della sussistenza di valide ragioni economiche (non importa se prevalenti o meno rispetto alla concorrente finalità di risparmio) deve essere portata al contribuente (ex plurimis Cass. 30/01/2018, n. 2240). In assenza delle prove suddette, non si può predicare la violazione di legge denunciata da parte del giudice d’appello, ed il ricorso deve essere respinto, con aggravio di spese per la ricorrente soccombente.

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