Legittimamente deducibili le spese di sponsorizzazione del marchio (e non del prodotto)

by admintrib

Sembra una vicenda di parecchi anni fa, invece l’Agenzia delle Entrate ancora discute in tre gradi di giudizio sulla deducibilità delle spese di sponsorizzazione quando la valorizzazione dell’immagine viene ricollegata al marchio e non al prodotto. Ma ancora una volta questa linea subisce un rovescio in giudizio.

Parliamo nel caso specifico della Sentenza 7 aprile 2022, n. 11324 della Sezione Tributaria (Pres. Virgilio, Rel. Triscari) pronunciata su un ricorso dell’Agenzia delle Entrate relativo appunto alla sussistenza del requisito dell’inerenza dei costi sostenuti dalla contribuente per la pubblicizzazione del proprio marchio.

Secondo parte ricorrente l’erroneità della pronuncia della CTR risiederebbe nella circostanza che avrebbe ritenuto inerenti le spese sostenute in forza del contratto di sponsorizzazione del proprio marchio, e ciò: nonostante il fatto che non veniva pubblicizzato il prodotto, ma solo il marchio, le gare al si svolgevano in ambienti internazionali e non era relativo a prodotti di largo consumo tali da essere conosciuti indipendentemente dal riferimento al prodotto fabbricato ed a contatti con le società; senza, inoltre, avere effettuato alcuna verifica del concreto vantaggio economico che la contribuente avrebbe ritratto dalla sponsorizzazione.

Per la Corte la questione della diretta aspettativa di ritorno commerciale per il soggetto che sostiene le spese è stata risolta in precedenza (Cass. civ., 30 dicembre 2014, n. 27482; Cass. civ., 27 maggio 2015, n. 10914; Cass. civ., 23 marzo 2016, n. 5720) solo al fine della individuazione della diversa natura delle spese, se di rappresentanza o di pubblicità e, quindi, dei limiti di deducibilità delle prime, secondo quanto previsto dal TUIR.

Quanto invece alla verifica del requisito dell’inerenza dei costi sostenuti, secondo precedenti pronunce (Cass. civ., 27 aprile 2012, n. 6548), il c.d. contratto di sponsorizzazione, fattispecie non specificamente disciplinata dalla legge, ricomprende tutte quelle ipotesi nelle quali un soggetto (detto “sponsorizzato”) si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marchiato, o anche a tenere determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale.

Per lo sponsor si tratta allora di una forma di pubblicità indiretta, consistente nella promozione del marchio o del prodotto che si intende lanciare sul mercato. Non manca quindi l’interenza ai fini fiscali, dei costi della sponsorizzazione all’attività di impresa, qualora lo sponsor sia lo stesso titolare del marchio o il produttore del bene da promuovere.

La giurisprudenza ha da tempo anche superato la nozione fiscale di inerenza correlata ad una valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) o congruità della spesa (ex multis, Cass. n, 10914/2015) ed ha invece affermato che, in tema di imposta sui redditi d’impresa, il principio dell’inerenza esprime la riferibilità dei costi sostenuti all’attività d’impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, escludendo i costi che si collocano in una sfera ad essa estranea.

Da ciò consegue che l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo, anche se l’antieconomicità e l’incongruità della spesa possono essere indici rivelatori del difetto di inerenza (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27786 del 31/10/2018).

Va poi fatto un distinguo tra imposte dirette ed IVA.

Infatti “In tema di imposte dirette, l’Amministrazione finanziaria, nel negare l’inerenza di un costo per mancanza, insufficienza od inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la rilevanza, può contestare l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza, pur non identificandosi in essa; in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa ed alle scelte imprenditoriali”.

Invece, “in tema di IVA, l’inerenza di un costo attinente all’attività di impresa non può essere esclusa in considerazione della mera sproporzione o incongruenza della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo ed attività d’impresa” (Cass. civ., 17 luglio 2018, n. 18904).

Le suddette considerazioni, per i Giudici di Legittimità, trovano recente conferma anche sul versante unionale. La Corte di Giustizia, con la pronuncia 25 novembre 2021, causa C- 334/20, ha invero, precisato, in materia di diritto alla detrazione Iva per costi di pubblicità, che l’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che “un soggetto passivo può detrarre l’imposta sul valore aggiunto (IVA) assolta a monte per servizi pubblicitari ove una siffatta prestazione di servizi costituisca un’operazione soggetta all’IVA, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2006/112, e ove essa presenti un nesso diretto e immediato con una o più operazioni imponibili a valle o con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo, a titolo di sue spese generali, senza che sia necessario prendere in considerazione la circostanza che il prezzo fatturato per i suddetti servizi sia eccessivo rispetto a un valore di riferimento definito dall’amministrazione finanziaria nazionale o che tali servizi non abbiano dato luogo a un aumento del fatturato di detto soggetto passivo”.

Pertanto, non rileva affatto la circostanza che nella fattispecie il marchio fosse privo di riferimenti specifici ai prodotti fabbricati o che lo sponsorizzato gareggiava nel circuito internazionale mentre la contribuente svolgeva attività di impresa limitata, non essendo tali circostanze idonee ad escludere la specifica correlazione qualitativa tra il costo e l’attività di impresa.

 

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