La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con Ordinanza 20 marzo 2025 n. 7404 (Pres. Federici, Rel. Leuzzi) respinge un ricorso dell’Agenzia delle Entrate la quale, in un avviso di accertamento mirato a recuperare importi fiscali, aveva contestato alla contribuente di aver computato in detrazione, alla stregua di acquisti intracomunitari ex art. 38 d.l. n. 331 del 1993, operazioni effettuate fra l’1 gennaio 2011 e il 20 ottobre 2011 con soggetti di nazionalità francese e tedesca, ancorché non rivestisse in detto periodo lo status di operatore intracomunitario, essendo stata inclusa nell’archivio telematico VIES soltanto a decorrere dalla predetta data del 20 ottobre 2011.
Il ricorso della società era stato accolto dalla CTP di Ragusa e la CTR della Sicilia aveva rigettato il successivo appello erariale.
In Cassazione, con l’unico motivo di ricorso AdE denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 35, co. 15 – quater D.P.R. n. 533 del 1972, dei provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 29 dicembre 2010, n. 188376 e del 12 giugno 2017, n. 110418, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR erroneamente considerato intracomunitarie operazioni prive della preventiva autorizzazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate e dell’inclusione nell’archivio VIES del soggetto richiedente.
La Corte ritiene il motivo infondato.
Infatti è stato affermato che “In tema di cessioni intracomunitarie, la mancata iscrizione dell’impresa cessionaria nel registro “Vies” non costituisce indizio della inesistenza dell’operazione poiché, in conformità alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 9 febbraio 2017, causa C – 21/16), ai fini dell’applicazione del regime di non imponibilità dell’IVA, rilevano esclusivamente le condizioni sostanziali, salvo i casi di frode” (Cass. n. 10006 del 2018).
Inoltre viene ricordato che “In tema di cessioni intracomunitarie, l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale che non indice sul regime di esenzione previsto per gli scambi tra operatori comunitari, quando la ricorrenza, in capo al destinatario, della qualità di soggetto d’imposta nello Stato d’appartenenza, secondo il principio di tassazione del luogo di destinazione dei beni, non sia contestata e non sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode” (Cass. n. 25651 del 2018). L’assetto dei principi è completato dal principio di recente affermazione, al lume del quale “In tema di cessioni intracomunitarie, l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale, che non incide sul regime di esenzione previsto per gli scambi tra operatori comunitari, sempre che la ricorrenza, in capo al destinatario, della qualità di soggetto d’imposta nello Stato d’appartenenza, secondo il principio di tassazione del luogo di destinazione dei beni, non sia contestata e non sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode” (Cass. n. 12822 del 2021).
Per conseguenza secondo i Giudici di Legittimità il giudice di secondo grado si è posto sulla scia dell’orientamento nomofilattico, il che determina il rigetto del ricorso dell’AdE.