“In tema di contenzioso tributario, l’intimazione di pagamento di cui all’art. 50 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 del 1973, in quanto equiparabile all’avviso di mora di cui al precedente art. 46 D.P.R. cit., è impugnabile autonomamente ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. e), D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, sicché la sua impugnazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione”.
Questo il principio di diritto espresso dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella sentenza 11 marzo 2025 n. 6436 (Pres. Crucitti, Rel. Angarano).
La Corte, nel caso specifico, ha respinto il motivo di ricorso della contribuente che aveva censurato una decisione della Commissione tributaria regionale, nella parte in cui aveva affermato che l’eccezione di prescrizione non fosse proponibile impugnando l’atto di pignoramento, in assenza di impugnazione dell’atto di intimazione di pagamento.
Infatti viene ribadito che la questione sulla facoltatività o meno dell’impugnazione dell’atto non possa risolversi sulla scorta della mera formale dizione contenuta nell’art. 19 D.Lgs. n. 545 del 1992, dovendosi guardare alla funzione intrinseca, analoga a quella propria di uno degli atti tipici ivi contemplati (cfr. Cass. 15/12/2021, n. 40233). Con riferimento nello specifico alla intimazione di pagamento, il suo scopo è quello di invitare il contribuente al pagamento prima di dare il via all’esecuzione forzata: quindi si tratta di atti assimilabili all’avviso di cui all’articolo 50, comma 2, DPR n. 602/1973 (Cassazione n. 22108 del 2024).
Si rammenta che le Sezioni Unite, affrontando, se pure ai fini di statuizione della giurisdizione, la questione della natura dell’intimazione di pagamento, hanno ribadito “sia pur con riferimento a fattispecie impositiva diversa (ovvero in materia di tasse automobilistiche), che il “sollecito di pagamento” ricevuto dal contribuente… è certamente atto che precede l’esecuzione, potendo lo stesso essere assimilato, al di là dell’ininfluente differenza di denominazione, all’avviso previsto dall’art. 50, comma 2, del D.P.R. n. 602 del 1973 per l’ipotesi che l’espropriazione non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento: avviso – comunemente denominato “avviso di mora” – la cui impugnabilità innanzi alle commissioni tributarie è esplicitamente prevista dall’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992″ (Cass. Sez. U. 16/10/2024, n. 26817 che richiama Cass. Sez. U. 19/11/2007, n. 23832 in motivazione). Le Sezioni Unite, dunque, hanno ribadito che, al di là della diversa denominazione dei singoli atti, deve aversi riguardo alla funzione propria dell’atto ovvero, nella specie, di invitare il contribuente al pagamento prima di dare avvio all’esecuzione forzata. Al di là, quindi, della diversa denominazione dei singoli atti, deve aversi riguardo alla funzione propria dell’atto, che, nella specie, è quello di invitare il contribuente al pagamento prima di dare avvio alle esecuzione forzata.
Quindi se l’intimazione di pagamento nel senso sopra precisato non viene impugnata, il relativo credito si consolida e non possono essere fatte valere le vicende estintive anteriori alla sua notifica (Cassazione nn. 22108/2024 e 10736/2024).
Viene smentito nella sentenza il diverso orientamento di cui alla Cassazione n. 16743/2024 secondo cui l’avviso di intimazione, sebbene contenente esplicitazione di una ben definita pretesa tributaria, non è un atto previsto tra quelli di cui all’articolo 19 citato, con conseguente facoltà, e non obbligo, di impugnazione. Il che a ben vedere appare come un principio del tutto ragionevole.
Nel frattempo, stante il consolidarsi della lettura di cui alla sentenza in commento, va usata la massima prudenza per non determinare il consolidamento della pretesa.