Antieconomicità ed inerenza: deducibili i costi che si collocano in chiave di programmatica, futura e potenziale proiezione dell’attività imprenditoriale.

by AdminStudio

La sezione Tributaria della Corte di Cassazione con l’Ordinanza 11 marzo 2025, n. 6426 (Pres. La Rocca, Rel. Leuzzi) torna sul tema dell’inerenza dei costi al reddito di impresa censurando la tesi dell’Agenzia basata solo sul rapporto quantitativo costi-risultati economici. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate viene pertanto respinto.

Con uno specifico motivo l’Agenzia aveva finito per sostenere l’indeducibilità dei costi sulla base del dato quantitativo dell’esiguità (nel 2006) e dell’assenza (nel 2007 e nel 2008) di ricavi. In altri termini, l’Agenzia collega la deducibilità – imprescindibilmente -alla produzione di ricavi. Detta prospettiva non è, tuttavia, condivisibile. In termini generali, è il caso di ricordare che, secondo il consolidato orientamento della Corte, il principio d’inerenza del costo, ai fini della sua deducibilità, è stato ricondotto, sul piano normativo, all’art. 109, comma 5, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) (in precedenza, art. 75, comma 5, TUIR) che stabilisce che: “Le spese e gli altri componenti negativi… sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi.”.

Come chiarito dalla giurisprudenza nomofilattica, il giudizio sull’inerenza del costo va riferito all’oggetto sociale dell’impresa, nel senso che esso è deducibile se è funzionale alle singole attività sociali o, comunque, se apporta all’impresa un’utilità, obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata (Cass. n. 23164 del 2017).

L'”inerenza” non integra, in definitiva, un nesso tra costo e ricavo, ma si sostanzia nella correlazione tra costo e attività d’impresa, anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile. Giova dar continuità al principio alla luce del quale “In tema di deducibilità dei costi, l’inerenza, desumibile dall’art. 109, comma 5, del D.P.R. n. 917 del 1986 (in precedenza, art. 75, comma 5, del detto decreto), deve essere riferita alloggetto sociale dell’impresa, in quanto non integra un nesso di tipo utilitaristico tra costo e ricavo, bensì una correlazione tra costo ed attività di impresa, anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile, ma – a differenza di quanto avviene ai fini della detrazione dell’IVA, rispetto alla quale il concetto ha valenza esclusivamente qualitativa – nelle imposte dirette l’antieconomicità di una spesa, ossia la sproporzione sul piano quantitativo, può costituire significativo sintomo della non inerenza della stessa” (Cass. n. 13588 del 2018). Questa Corte ha anche evidenziato che “In tema di imposte sui redditi d’impresa, il principio dell’inerenza dei costi deducibili non si ricava dall’art. 109, comma 5, del D.P.R. n. 917 del 1986 (in precedenza, art. 75, comma 5, del medesimo D.P.R.), che attiene alla correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili, ma costituisce espressione della necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’impresa, sicché devono ritenersi inerenti – secondo un giudizio di natura qualitativa – anche i costi relativi ad iniziative che si collocano in un nesso di programmatica, futura o potenziale proiezione dell’attività imprenditoriale, senza che sia necessario verificarne la correlazione con i ricavi dell’impresa, né valutarne la congruità, non potendo invece ritenersi inerenti le operazioni comportanti costi che si riferiscono ad un ambito non coerente o estraneo all’oggetto dell’attività di impresa” (Cass. n. 13882 del 2018). Ancor più incisivamente si è sottolineato, nel formante nomofilattico, che il requisito dell’inerenza ha “valenza qualitativa, e quindi da intendersi come nesso di strumentalità, anche solo potenziale, tra il bene e l’attività svolta” (Cass. n. 23278 del 2018). In definitiva, il principio di inerenza dei costi deducibili, esprime una correlazione in concreto, non tra costi e ricavi, ma tra costi ed attività d’impresa, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde da considerazioni di natura quantitativa (v. anche Cass. n. 33568 del 2022) In questo quadro, l’antieconomicità di un costo – intesa come sproporzione tra la spesa e l’utilità che ne deriva, avuto riguardo agli ulteriori dati contabili dell’impresa – può fungere soltanto da elemento sintomatico del difetto di inerenza, e in questo caso, ove il contribuente indichi i fatti che consentano di ricondurre il costo all’attività d’impresa, l’Amministrazione è tenuta a dimostrare, anche con il ricorso ad indizi, gli ulteriori elementi addotti in senso contrario, evidenziando, in particolare, l’inattendibilità della condotta del contribuente.

Nella specie, secondo la Corte, la CTR, esprimendo il sindacato ad essa riservato, ha ritenuto – compiendo un accertamento in fatto – che l’operazione si risolvesse in un investimento e non in un’operazione elusiva, in tal senso reputando irrilevante il dato quantitativo. L’esito del sindacato liberamente svolto dal giudice di secondo grado non può essere soppianto e sostituito in sede di legittimità da un diverso apprezzamento di fatto e di merito, palesandosi una simile operazione fisiologicamente interdetta.

 

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