Il reato di omesso versamento dell’IVA si concretizza anche quando le somme sono state usate per pagare i dipendenti. Non vale il criterio di gradazione del pagamento dei debiti di estrazione civilistica

by admintrib

La Sentenza 23 gennaio 2023, n. 2613 della III Sezione Penale della Corte di Cassazione (Pres. Marini, Rel. Semeraro) decide sul ricorso di un contribuente che aveva contestato l’esitenza del presupposto soggettivo del reato, sotto il profilo del dolo, in una situazione di evidente crisi aziendale non addebitabile al comportamento dell’imputato.

Secondo i Giudici di Legittimità il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter (omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto) punisce chi non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Si tratta di un reato omissivo ed istantaneo: si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo; ciò che rileva è, quindi, l’indicazione nella dichiarazione di un debito d’imposta e l’inadempimento alla conseguente e corrispondente obbligazione di pagamento.

Ai fini della integrazione del reato di omesso versamento dell’IVA di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, l’entità della somma da versare, costituente il debito IVA, è quella risultante dalla dichiarazione del contribuente e non quella effettiva, desumibile dalle annotazioni contabili (così Sez. 3, n. 14595 del 17/11/2017, dep. 2018, Strada, Rv. 272552 – 01).

Sono poi irrilevanti, ai fini della configurabilità del reato, sia l’effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate (tranne i casi di applicabilità del regime di “Iva per cassa”, cfr. Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Ventura, Rv. 272069) sia le condotte successive dell’obbligato, stante la natura del reato, che è omissivo proprio a consumazione istantanea. Per la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, è, quindi, sufficiente, stante l’evidenziata struttura della fattispecie, la consapevolezza di omettere il versamento dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione annuale presentata dall’obbligato, a prescindere dagli intendimenti e dalle condotte successive del debitore, posto che ciò che determina la configurabilità del reato è quanto emergente dalla dichiarazione annuale e l’inadempimento alla scadenza della obbligazione tributaria dalla stessa risultante.

Il delitto è, dunque, punibile a titolo di dolo generico che consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le somme dovute a titolo di Iva del periodo considerato.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la prova del dolo è insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto dalla legge.

Nel corso degli anni, in relazione alla natura giuridica delle prestazioni, la regola è divenuta quella della cd. IVA per cassa; il pagamento è il criterio prevalente previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6 per ritenere effettuata l’operazione relativa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi a cui si applica l’imposta sul valore aggiunto. In particolare, proprio per le prestazioni di servizi, erogate dalla società di cui il ricorrente è legale rappresentante, l’art. 6 prevede che tali prestazioni si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo e l’imposta relativa alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si considerano effettuate, cioè all’atto del pagamento.

In conseguenza di tali principi, Sez. 3, n. 38594 del 23/01/2018, M., Rv. 273958 – 01, ha affermato, in tema di reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, che l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta sicchè egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura nè lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell’elemento soggettivo.

La giurisprudenza è costante nell’affermare, anche in conseguenza della riscossione delle somme, del tempo concesso per l’adempimento, della conoscenza pregressa del debito Iva, per i meccanismi descritti (e dell’obbligo di accantonamento secondo le Sezioni Unite), che la scelta di non pagare l’imposta dovuta prova il dolo: soprattutto quando risulti che al contempo si siano pagati altri debiti o che le somme, che avrebbero dovuto essere accantonate, siano state impiegate in altro.La tesi difensiva sulla rilevanza del pagamento degli stipendi è contraria ai principi espressi da Sez. 3, n. 52971 del 06/07/2018, Moffa, Rv. 274319 – 01, secondo cui, in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’Iva cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 c.p., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 c.c.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 c.c.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della par condicio creditorum, al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato.

 

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