Esercizio di attività di impresa: per le persone fisiche è necessario accertare professionalità ed abitualità

by admintrib

Con ordinanza n. 20065 del 21 giugno 2022 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Fuochi Tinarelli, Rel. D’Aquino) si esprime circa le modalità di accertamento del reddito di impresa in capo alle persone fisiche (art. 55 TUIR) in relazione ad una controversia sorta tra l’Amministrazione Finanziaria ed un contribuente che aveva posto in essere alcune operazioni di compravendita immobiliare.

Nei fatti l’Agenzia delle Entrate con avviso di accertamento, redatto con metodo induttivo per l’anno 2008, determinava un reddito di impresa pari ad euro 690.960,00 recuperando IRPEF, IRAP, IVA e sanzioni nei confronti di un contribuente persona fisica in relazione alla compravendita di otto unità immobiliari. In seguito agli sfavorevoli esiti in CTP e CTR il contribuente adiva in Cassazione lamentando come l’acquisto di immobili non potesse determinare di per sé l’esercizio di una attività di impresa, attesa la mancata prova dell’abitualità nello svolgimento dell’attività di compravendita e dello svolgimento dell’attività nel corso del tempo (gli immobili oggetto di accertamento erano stati acquistati nell’arco di vent’anni e l’accertamento aveva riguardato il solo anno 2008).

Come ricordato dai Giudici di Legittimità, ai fini della nozione di esercizio di imprese commerciali, l’art. 55 TUIR richiede lo svolgimento “per professione abituale ancorché non esclusiva” delle attività indicate dall’art. 2195 cod. civ., ancorché non organizzate in forma di impresa, connotate per caratteristiche di stabilità e ripetitività.

In altri termini a differenza dell’impresa civilistica, “l’attività di impresa ai fini tributari prescinde dal requisito organizzativo e richiede lo svolgimento in maniera professionale – e quindi abituale – ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 cod. civ., anche se non organizzate in forma di impresa” (Cass., Sez. V, 9 giugno 2021, n. 16139; Cass., Sez. V, Cass., Sez. VI, 6 aprile 2017, n. 8982; Cass., Sez. V, 7 novembre 2012, n. 19237).

Secondo la Corte ciò che rileva ai fini dell’accertamento della sussistenza di una attività di impresa è dunque il requisito della abitualità, “che va intesa come attività stabile nel tempo, con riguardo al periodo temporale rilevante ai fini dell’imposizione sui redditi e, quindi, al periodo di imposta” (Cass., Sez. V, 12 dicembre 2019, n. 32590); non potendo di conseguenza assumere rilievo “le cessioni di beni che non siano caratterizzate dall’abitualità e dalla professionalità, con esclusione degli atti isolati ed occasionali di produzione o di commercio” (Cass., V, 18 aprile 2018, n. 9461).

Pertanto come evidenziato dalla Corte “laddove si tratti di un contribuente persona fisica ovvero di ente diverso da società commerciale, l’indagine sulla professionalità, nel senso suddetto, va effettuata ex ante in connessione a un insieme di fattori da valutare in relazione alla specifica tipologia di attività ed in base all’id quod plerumque accidit, tra cui la predisposizione dei mezzi necessari per lo svolgimento dell’attività” (Cass., Sez. V, 15 luglio 2020, n. 15021).

I Giudici di Legittimità, accolto il ricorso del contribuente e cassando con rinvio la sentenza, hanno sottolineato come nel caso di specie la CTR ha mancato di accertare che l’attività di impresa (di fatto) svolta dal contribuente abbia avuto svolgimento stabile nel tempo.

(commento a cura del Dott. Lorenzo Tortelli)

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