Concordato preventivo e omesso versamento IVA: non sussistente il reato se l’ammissione alla procedura precede la scadenza dell’adempimento.

by Luca Mariotti

Ampio risalto sui media tradizionali alla sentenza della Corte di cassazione, sezione terza penale, n.15853 depositata il 16 aprile 2015. La stampa sottolinea in particolare come il Supremo Collegio abbia, rivedendo un precedente contrario orientamento, affermato il principio per cui la natura pubblicistica dell’istituto del concordato non fa scattare il presupposto per il reato di cui all’articolo 10 ter, decreto legislativo 74/2000.

In realtà la Corte corregge l’asserzione contenuta nell’impugnata sentenza per cui il Tribunale dichiara di aderire a quella che definisce una giurisprudenza di legittimità “assolutamente maggioritaria”, richiamando peraltro solo due arresti: Cass. sez. Ili, 24 aprile 2013 n. 39101 (per cui nei reati tributari “la presentazione di una proposta di concordato preventivo e la sua approvazione di omologazione da parte del tribunale non fa venir meno la responsabilità dell’amministratore della società che non ha versato quanto dovuto all’erario ai fini degli obblighi IVA”) e Cass. sez. IlI, 14 maggio 2013 n. 44283.

In realtà, secondo i Giudici di Cassazione, occorre anzitutto rilevare che il primo dei due precedenti non appare pertinente alla fattispecie in esame, giacché, per quanto può evincersi da una motivazione peraltro assai concisa, si riferisce a reati consumati anteriormente all’ammissione al concordato preventivo, Di ciò ha ben conto il Tribunale, dato che, in effetti, fonda la sua motivazione su un’ampia trascrizione del nucleo motivazionale dell’altro arresto, Cass. sez., III, 14 maggio 2013 n. 44283, in pratica motivando per relationem rispetto a tale pronuncia.

Dunque, secondo questo precedente su cui si impernia il Tribunale nella impugnata ordinanza il concordato preventivo non può incidere sulle scadenze di versamento dell’Iva perché è frutto di un mero atto di autonomia negoziale del debitore rispetto ai suoi creditori. A meno che non si accompagni allo specifico istituto della transazione fiscale ex articolo 182 ter l.fall.. Al contrario però altra recente giurisprudenza (cfr. Cass. civ. sez. I, 25 giugno 2014 n. 14447) indentifica un diverso orientamento, laddove in motivazione afferma che l’articolo 182 ter l.fall, “deve interpretarsi nel senso che la proposta di concordato preventivo, con o senza transazione fiscale, può prevedere, quanto al credito per Iva, solo la dilazione di pagamento essendone in ogni caso intangibile l’importo in quella sede concorsuale”: il che vale a dire che la dilazione può essere stabilita nell’ambito del concordato preventivo anche qualora l’istituto, evidentemente facoltativo, della transazione fiscale non sia stato utilizzato (Cass, civ. sez. I, 4 novembre 2011 n. 22931)

Quindi, secondo la Corte, se il reato ex articolo 10 ter d.lgs, 74/2000 è reato omissivo istantaneo, la dilazione del versamento della dovuta Iva rispetto al termine di versamento dell’acconto per il periodo d’imposta successivo, alla cui scadenza il reato si consumerebbe, integrerebbe in re ipsa il reato stesso nel momento in cui il termine ordinario, in forza dell’accordo di posticipazione, sarebbe superato. Consentendo la dilazione, quindi, si dà luogo automaticamente al reato? Non può essere questo, ragionevolmente se non ovviamente, l’effetto dei coinvolgimento del debito Iva nel concordato preventivo.

Per supportare, allora, una interpretazione restrittiva nel senso che la dilazione sia ammessa esclusivamente dove menzionata in modo espresso dal legislatore, e cioè in caso di transazione fiscale ex articolo 182 ter l.fall. – in contrasto, come appena rilevato, con la giurisprudenza nomofilattica civile -, logicamente occorre “svuotare” di incidenza il concordato preventivo di per sé, ovvero il concordato senza transazione fiscale. Ed è proprio, come già si accennava, quello che tenta di fare Cass. sez. III, 14 maggio 2013 n. 44283 in quel passaggio motivazionale che può definirsi dirimente nell’iter del suo ragionamento (“l’accesso alla procedura di concordato preventivo è atto di autonomia privata, d’iniziativa del debitore, che mira a sfociare nel c.d. patto concordatario con i creditori. Una scelta di questo genere, tutta interna alla volontà del debitore, non può portare, come sua conseguenza, ad elidere gli obblighi giuridici, specie quelli aventi rilievo pubblicistico, come la previsione del versamento dell’Iva alla scadenza di legge, la cui omissione è sanzionata penalmente”) e che in sostanza contrappone a un istituto asseritamente privatistico obblighi giuridici d» rilievo pubblicistico, per giustificare l’assoluta non incidenza del concordato preventivo sulla sussistenza del reato de quo.

In realtà, peraltro, prosegue la Corte, sul perseguimento di un accordo transattivo debitore-creditori (di cui permane una ben consistente manifestazione nell’approvazione del concordato da parte dei creditori nella loro adunanza: v. articoli 174-178 l.fall., globalmente intitolati proprio “deliberazione del concordato preventivo”) si viene a innestare una struttura chiaramente pubblicistica, essendo l’istituto del concordato preventivo una sorta di uscita di sicurezza rispetto alla prospettiva del fallimento e dunque uno di quegli strumenti di tutela non solo dei creditori ma altresì degli interessi economici collettivi che il legislatore ha predisposto per le crisi d’impresa.

Se, dunque, la dilazione del pagamento del debito Iva (dilazione compensata dalla non elisione di interessi e sanzioni amministrative) rientra nell’ambito del piano concordatario – come conferma un solido orientamento della giurisprudenza civile di questa Suprema Corte già richiamata – e se il concordato preventivo non è una manifestazione di autonomia negoziale, bensì un istituto prevalentemente pubblicistico, è più che illogico considerare ciò tamquam non esset ai fini penali, dissociando settori parimenti pubblicistici dell’ordinamento, ovvero consentendo da un lato al giudice fallimentare di ammettere al concordato preventivo l’imprenditore che nel suo piano progetta di commettere un reato e poi di omologare la deliberazione con cui i creditori hanno approvato (anche) un siffatto progetto criminoso, e dall’altro al giudice penale di sanzionare il soggetto che ha eseguito un accordo omologato (la cui relativa domanda era stata, tra l’altro, ab origine comunicata al pubblico ministero) condannandolo per il reato di cui all’articolo 10 ter d.lgs. 74/2000.

Deve quindi concludersi che questa costruzione giuridica non tiene e che viceversa il fumus commissi delicti, per il necessario coordinamento già sopra evidenziato, nel caso di specie non può sussistere.

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