Articolo 20 del Testo Unico di Registro: la Suprema Corte conferma l’impossibilità del collegamento negoziale con altri atti nella riqualificazione del contenuto della scrittura

by admintrib

“Non può … attribuirsi rilevanza – come pretende di fare l’Agenzia delle Entrate – ad altri atti posti in essere, anche dalle stesse parti e collegati a quello oggetto di registrazione, al fine di ricercare la causa concreta della complessiva operazione, colpendo l’imposta di registro la manifestazione di ricchezza espressa nello specifico atto. Un eventuale collegamento negoziale con altri atti, così come gli eventuali elementi extra- testuali, possono assumere rilievo solo ed esclusivamente ai sensi dell’art. 10-bis dello Statuto del contribuente, con le relative garanzie procedurali e previa dimostrazione dei relativi presupposti applicativi – possibilità che consente di superare anche i dubbi di compatibilità dell’attuale formulazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 con la normativa comunitaria”.

Queste sono le conclusioni espresse nella Ordinanza 25 maggio 2023 n. 14535 della Quinta Sezione della Corte di Cassazione (Pres. De Masi, Rel. Picardi).

I Giudici, come è ormai consuetudine nelle pronunce sull’articolo 20 del TUR (anche per decidere in ordine alle spese), ripercorrono dettagliatamente l’evoluzione normativa e della giurisprudenza degli ultimi anni ricordando che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, anteriormente alle modifiche ad esso apportate con la legge di Bilancio 2018, prevedeva che: “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Secondo un primo orientamento la disposizione richiamata richiedeva che ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro si dovesse avere riguardo precipuamente al contenuto delle clausole negoziali e agli effetti giuridici dell’atto soggetto a registrazione, indipendentemente dal nomen iuris ad esso attribuito e aldilà dalla volontà delle parti, a nulla rilevando gli effetti economici di tale atto e gli elementi esterni all’atto stesso (Cass. n. 25005 del 2016; Cass. 2054 del 2017, Cass. n. 11959 del 1993, Cass. n. 75 del 1997).

Negli ultimi quindici anni, tuttavia, si era formato un filone giurisprudenziale, secondo cui la norma in commento aveva una portata più ampia, dandosi rilievo, ai fini della determinazione dell’imposta applicabile, all’intera operazione economica realizzata mediante il collegamento dell’atto sottoposto a registrazione con elementi extratestuali.

In un primo momento, la prevalente giurisprudenza di legittimità faceva riferimento alla portata essenzialmente antielusiva dell’art. 20 T.U.R., il quale, pertanto, aveva una funzione analoga a quella dell’oggi abrogato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis (Cass. n. 14900 del 2001, n. 6835 del 2013, n. 10273 del 2007). Questa impostazione venne successivamente abbandonata, sicchè l’art. 20 T.U.R. non veniva più ritenuto espressione di una clausola antielusiva, anche se la norma poteva consentire, comunque, di oltrepassare il nomen iuris e gli effetti negoziali dell’atto sottoposto a registrazione, per ricostruire la “causa reale” dell’intera operazione economica realizzata.

Pertanto, l’art. 20 T.U.R. non era solo “una norma interpretativa degli atti registrati”, ma una “disposizione intesa ad identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario” (Cass. n. 25001 del 2015), che imponeva di dare rilevanza principale nell’imposizione di un negozio giuridico, alla causa reale e alla regolazione degli interessi realmente perseguita dalle parti anche se attraverso ulteriori accordi extratestuali, prescindendo, però, da intenti elusivi che potevano eventualmente ricorrere” (Cass. n. 7335 del 2014, Cass. n. 19752 del 2013). Quindi l’art. 20 T.U.R. aveva natura di regola interpretativa e non di norma antielusiva, sicchè l’Amministrazione poteva procedere alla riqualificazione del negozio senza necessità di un previo contraddittorio endoprocedimentale (Cass. n. 8619 del 2018).

Sulla base di questo indirizzo veniva sottoposto ad imposizione non già l’atto in sè, ma l’intera operazione economica che l’atto intendeva realizzare, operazione che veniva individuata anche mediante il collegamento negoziale con elementi extratestuali alla luce dell’obiettivo economico concretamente perseguito e delle intenzioni delle parti. Si riteneva, infatti, che: “In tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (nella formulazione anteriore alla l. n. 205 del 2017) deve essere inteso nel senso che, nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, l’Ufficio è tenuto ad attribuire rilievo preminente alla causa reale del negozio, ovvero alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali tra loro collegate (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto configurabile una cessione d’azienda nell’ipotesi di conferimento societario di un’azienda e di successiva cessione da parte del conferente a soggetti tersi delle quote della società, avendo riguardo alla vicinanza temporale degli atti”) – così Cass. n. 13610 del 2018.

Il Legislatore è, poi, intervenuto con la l. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, (la c.d. legge di bilancio 2018), disposizione che ha apportato significative modifiche al D.P.R. n. 131 del 1986 (T.U.R.), artt. 20 e 53 bis, rubricati rispettivamente “interpretazione degli atti” e “attribuzioni e poteri degli Uffici”, espressamente vietando di utilizzare elementi estranei all’atto ai fini dell’interpretazione di quest’ultimo. La conseguenza dell’intervento legislativo ha determinato l’impossibilità di utilizzare, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, l’art. 20 T.U.R. quale parametro per risolvere le eventuali discrepanze tra effetti negoziali ed gli effetti sostanziali dell’atto da registrare.

L’art. 20 T.U.R., infatti, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge Bilancio 2018, attualmente recita: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

La Corte di cassazione, con indirizzo ampiamente condiviso, ha negato la natura interpretativa delle modifiche introdotte (ex plurimis v. Cass. n. 4407 del 2018; Cass. n. 4589 del 2019) dalla legge di Bilancio 2018, sia perchè non vi sarebbe stata una esplicita previsione dell’efficacia retroattiva all’interno della norma stessa, sia in ragione della mancanza di “adeguati motivi di interesse generale” per giustificare la retroattività della disposizione.

Il Legislatore, quindi, è intervenuto per superare le difficoltà interpretative della giurisprudenza in ordine alla retroattività della novità legislativa, affermando la natura di interpretazione autentica delle modifiche normative introdotte nel 2017 ed, in particolare, precisando che: ” la L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lettera a), costituisce interpretazione autentica dell’art. 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131″.

3.4. A seguito dell’intervento legislativo, questa Corte, con ordinanza n. 23549 del 2019, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell’art. 20 del T.U.R., ritenendo che tale norma, come modificata dalle leggi di Bilancio 2018 e 2019, contrastasse con alla Cost., art. 53 e 3.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 158 del 2020, con riferimento alle argomentazioni espresse con la suddetta La Consulta ha rilevato che l’art. 20 T.U.R., nell’attuale formulazione censurata, dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo l’intrinseca natura e secondo gli effetti giuridici dell’atto da registrare, indipendentemente dal titolo o dalla forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso (intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento) prescindendo da quelli “extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

La Corte, infatti, ha affermato che “il senso fatto palese dal significato proprio delle parole della disposizione denunciata (secondo la loro connessione), i correlativi lavori preparatori (in particolare la relazione illustrativa alla L. n. 25 del 2017, art. 1, comma 87) e tutti i comuni criteri ermeneutici (in particolare quello sistematico) convergono unicamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni come intesa a imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi extratestuali e dagli atti ad esso collegatì, salvo quanto disposto dagli articoli successivi del medesimo D.P.R. n. 131 del 1986″ (Corte Cost. n. 158 del 2020)”. Il giudice delle leggi ha pure precisato che la Corte di Cassazione, nell’ordinanza di rimessione, esclude essa stessa “decisamente (indicando a sostegno ‘l’indirizzo più recentè della giurisprudenza di legittimità) che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 abbia una specifica funzione antielusiva”.

Nel caso specifico il ricorso del contribuente viene quindi accolto con compensazione delle spese alla luce delle intervenute variazioni di regole normative e interpretazione giurisprudenziale.

 

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