Presunzione di residenza effettiva del contribuente: priorità alla sede dell’attività.

by Luca Mariotti

La sentenza n. 6501 del 31 marzo 2015 della Corte di Cassazione definisce un taglio nuovo alle presunzioni sulla residenza effettiva ai sensi dell’articolo 2 del TUIR.

Fino ad oggi varie erano le circostanze che la giurisprudenza aveva ritenuto di considerare per stabilire se il contribuente, ad onta delle risultanze formali, fosse o meno residente in Italia: il centro di interessi economico, le relazioni familiari, l’acquisto di immobili, la dimora in certi periodi dell’anno, ecc.

Conformemente però a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia l’elemento più valorizzato è stato quello delle relazioni affettive e dei rapporti familiari. Come giustamente ha osservato il Sole 24 ore del 3 aprile scorso, c’è in questo senso un filone consolidato di sentenze della Cassazione (n. 14434 del 2010 e n. 29576 del 2011, per arrivare  alla recente Sentenza n. 678 del 16 gennaio 2015).

Anche la Corte UE, come detto, sposa questa tesi. Si vede in particolare la sentenza 12 luglio 2001 in causa C-262/99, Louloudakis, che testualmente recita: “osì, l’art. 7, n. 1, della direttiva prevede la presa in considerazione sia dei legami professionali sia dei legami personali in un dato luogo e va interpretato nel senso che, qualora una valutazione globale dei legami professionali e personali non sia sufficiente ad individuare il centro permanente degli interessi di una persona, ai fini di tale individuazione va data preminenza ai legami personali”.

D’altro canto la normativa sovranazionale non lascia molta discrezionalità. L’articolo citato della direttiva del 1983 (e precisamente l’Articolo 7, rubricato: “Norme generali per la determinazione della residenza”) così dispone:  “Ai fini dell’applicazione della presente direttiva, si  intende  per «residenza normale» il luogo in cui una persona dimora abitualmente,  ossia durante almeno  185  giorni  all’anno,  a  motivo  di  legami  personali  e professionali oppure, nel caso di una persona senza legami professionali, a motivo  di  legami  personali  che  rivelano  l’esistenza  di  una  stretta correlazione tra la persona in questione e il luogo in cui abita.     Tuttavia, nel caso di una persona  i  cui  legami  professionali  siano risultati in un luogo diverso da quello dei suoi  legami  personali  e  che pertanto sia indotta  a  soggiornare  alternativamente  in  luoghi  diversi situati in due o più Stati membri, si presume che la residenza normale  sia quella del luogo dei legami  personali,  purché  tale  persona  vi  ritorni regolarmente”.

Con la sentenza del 31 marzo della Cassazione, invece, la prevalenza è attribuita al luogo in cui viene esercitata abitualmente la gestione degli interessi vitali del soggetto, con rilevanza fondamentale riservata alla «sede principale dell’attività», ossia al criterio del «centro di interesse economico». Anzi: “Le relazioni affettive e familiari – la cui centrale importanza è invocata dalla ricorrente Agenzia al fine della residenza fiscale – non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri – idoneamente presi in considerazione nel caso in esame- che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento”.

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