Dichiarazioni di terzi trasfuse in un atto pubblico: non sono coperte da fede privilegiata in giudizio.

by Luca Mariotti

La sentenza 3 novembre 2017, n. 26140 della sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Virgilio, Rel. Locatelli) correttamente individua la valenza probatoria delle dichiarazioni raccolte in occasione di verifiche fiscali. Rimuovendo un errore in cui non raramente i collegi giudicanti di merito incorrono: quello di considerare in maniera univoca tutto il contenuto di un atto pubblico (inclusi i p.v.c.) coperto da fede privilegiata.

E’ infatti noto che l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Ma, quanto alle dichiarazioni, non è provata la relativa veridicità e perciò non si può ad esse attribuire valore di elemento fidefaciente.

La Corte accoglie, su tali argomentazioni, un motivo di ricorso del contribuente fondato su violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 cod.civ. (art. 360 comma primo n.3 cod.proc.civ.) poiché la Commissione tributaria regionale aveva esteso l’efficacia probatoria privilegiata propria dell’atto pubblico alla intrinseca veridicità delle dichiarazioni rese dalle parti al pubblico ufficiale.

Su questa base non corretta, il giudice di appello aveva ritenuto che la dichiarazione resa dalle parti al notaio, secondo cui il prezzo concordato era stato in precedenza interamente versato al venditore dalla parte acquirente, costituisca “piena prova” della veridicità sostanziale dei fatti dichiarati, esimendo il giudice dall’esaminare il materiale dichiarativo di segno diverso prodotto dal contribuente.

Assodata per la Corte l’avvenuta dichiarazione, verbalizzata in un atto pubblico, va però rilevato che le dichiarazioni di una parte hanno in ogni caso il valore probatorio “proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione”, secondo l’espressa affermazione contenuta nella pronuncia della Corte costituzionale n. 18 del 2000 (Sez. 5, Sentenza n. 11785 del 14/05/2010; Sez. 5 – , Sentenza n. 9080 del 07/04/2017).

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