La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nell’ordinanza 31597 del 9 dicembre 2024 (Pres. Stalla, Rel. Liberati) affronta, tra gli altri, il tema della inagibilità di un immobile (appartenente ad un ente religioso) e della conseguente riduzione IMU.
La Corte rammenta al riguardo che l’inutilizzabilità di fatto non assume in generale rilievo, essendo rimessa ad una scelta della parte che non incide sulla destinazione e rilevanza economica de bene. Nel caso specifico la contribuente non ha mai presentato al comune alcuna dichiarazione attestante l’inagibilità e il non utilizzo degli immobili.
Va quindi appurato se la stessa abbia dato prova in giudizio della conoscenza, in capo al comune, dello stato di inagibilità. Ma dalla documentazione in atti ciò non emerge.
I Giudici di Legittimità avallano l’affermazione della ricorrente secondo cui la riduzione dell’IMU va riconosciuta, in base al principio di buona fede e di leale collaborazione tra le parti e anche in assenza di specifica dichiarazione, qualora lo stato di inagibilità sia noto al Comune. Ma rilevano al contempo che tale conoscenza da parte dell’ente dello stato di inagibilità ed inutilizzabilità delle unità immobiliari oggetto dell’accertamento vada provata (Cass. 15/09/2023, n. 26679, al punto 7.5.).
In tema di IMU e nell’ipotesi di immobile inagibile, l’imposta va infatti ridotta, ai sensi dell’art. 13, comma 3, del D.L. n. 201 del 2011 (conv. con modif. dalla L. n. 214 del 2011), nella misura del 50 per cento anche in assenza di richiesta del contribuente quando lo stato di inagibilità è perfettamente noto al Comune, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente di cui è espressione anche la regola secondo cui a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al Comune (Cass. 26/03/2021, n. 8592 (Rv. 660884 – 01)).
Nel caso di specie la ricorrente aveva dedotto invece che la prova del degrado e dell’inutilizzo era notoria, tanto che l’immobile sarebbe stato successivamente demolito. Inoltre è stata prodotta durante il giudizio una perizia di parte, corredata da prove fotografiche e documentali (pag. 35 del ricorso).
La Corte tuttavia ritiene che tale circostanza non sia univoca, potendo la demolizione trovare la propria ragione anche in diversi presupposti, e che la produzione in sede di giudizio non sia ovviamente idonea a fornire una comunicazione “retroattiva” sullo stato dell’immobile. Difetta quindi la prova di una conoscenza aliunde pregressa da parte dell’ente impositore.