Termine di sessanta giorni tra p.v.c. e accertamento: come si computa secondo la Cassazione.

by Luca Mariotti

“Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

Questa la lettera del settimo comma dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente (L.212/2000).

Da tale regola (oltre che da principi comunitari di garanzia) è promanato, com’è noto, il recente orientamento giurisprudenziale che vede la sussistenza di un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale prima dell’emanazione di ogni atto impositivo.

Ciò premesso, la Sentenza 28 maggio 2015, n. 11088 della Corte di Cassazione si occupa di un particolare aspetto. Il sessanta giorni di legge si intendono fino al giorno in cui viene emesso l’avviso di accertamento o fino invece al giorno, ovviamente successivo, in cui esso arriva a destinazione?

La Corte, rifacendosi ad un precedente pro-contribuente, ritiene di condividere l’assunto, implicito della sentenza n. 25118/14, che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza n. 15648/14, l’espressione “l’avviso di accertamento non può essere emanato”, che si legge in apertura dell’ultimo periodo del settimo comma dell’articolo 12 I. 212/00, non può essere intesa come equivalente a “non può essere notificato o, comunque altrimenti portato a conoscenza legale del contribuente”.

Ciò per due ordini di considerazioni.

In primo luogo perché sul piano dei principi generali, la stessa Corte ha costantemente ribadito (da ultimo sentt. nn. 654/14 e 5057/15), che la notificazione è una mera condizione di efficacia, e non un elemento costitutivo, dell’ atto amministrativo di imposizione tributaria.

In secondo luogo perché ancorare il rispetto della prescrizione di cui all’articolo 12, comma 7, I. 212/00 al momento in cui l’atto viene sottoscritto, invece che a quello, successivo, in cui esso giunge a conoscenza del contribuente (tramite notifica o in altro modo) appare più rispettoso della ratio della disposizione in esame; quest’ultima, come si legge nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 18184/13, “introduce nell’ordinamento una particolare e concreta forma di “collaborazione” tra amministrazione e contribuente, attraverso la previsione di un termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, e salvo le eccezioni di cui si dirà, l’atto impositivo – come la norma prescrive con espressione “forte” – “non può essere emanato”: tale intervallo temporale è destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla (eventuale) emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale.

Se dunque la norma in esame tende a garantire il contraddittorio procedimentale – ossia a consentire al contribuente di far valere le proprie ragioni nel momento stesso in cui la volontà dell’Amministrazione si forma, quando l’atto impositivo è ancora in fieri – il criterio teleologico induce ad una interpretazione alla cui stregua 1‘Ufficio debba attendere il decorso del termine previsto dalla legge per la formulazione delle osservazioni e richieste del contribuente, prima di chiudere il procedimento di formazione dell’’atto, ossia prima che lo stesso venga redatto in forma definitiva e, quindi, datato e sottoscritto dal funzionario che ha il potere di adottarlo; vale a dire, come appunto la legge recita, venga “emanato”.

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