Per quanto siano leggermente diverse (come si dirà meglio nel seguito) le regole della TARI rispetto a quelle della TARI vale per ambedue il principio di non assoggettabilità al tributo delle aree nelle quali si formano rifiuti speciali smaltiti direttamente dal proprietario o dal conduttore.
La sentenza, ottimamente argomentata, ripercorre il quadro normativo di riferimento (il giudizio riguarda alcune annualità in ambito TARES ed altre interessate dalla TARI). Lo fa partendo dalla direttiva 94/62/CE, come modificata dalla direttiva n. 12 dell’11 febbraio 2004. Prevede l’art. 2, comma 1, che “la presente direttiva si applica a tutti gli imballaggi immessi sul mercato nella Comunità e a tutti i rifiuti di imballaggio, utilizzati o prodotti da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici e a qualsiasi altro livello, qualunque siano i materiali che li compongono”. Prevedono inoltre i primi due commi del successivo art. 3 quanto segue: “ai sensi della presente direttiva s’intende per: 1) “imballaggio”: tutti i prodotti composti di materiali di qualsiasi natura, adibiti a contenere e a proteggere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, e ad assicurare la loro presentazione. Anche tutti gli articoli “a perdere” usati allo stesso scopo devono essere considerati imballaggi. L’imballaggio consiste soltanto di: a) “imballaggio per la vendita o imballaggio primario”, cioè imballaggio concepito in modo da costituire nel punto di vendita un’unità di vendita per l’utente finale o il consumatore; b) “imballaggio multiplo o imballaggio secondario”, cioè imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita indipendentemente dal fatto che sia venduto come tale all’utente finale o al consumatore, o che serva soltanto a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di vendita. Esso può essere rimosso dal prodotto senza alterarne le caratteristiche; c) “imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario”, cioè imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione e il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli per evitare la loro manipolazione e i danni connessi al trasporto. L’imballaggio per il trasporto non comprende i container per i trasporti stradali, ferroviari e marittimi ed aerei; La definizione di “imballaggio” è basata inoltre sui criteri indicati qui di seguito. Gli articoli elencati nell’allegato I sono esempi illustrativi dell’applicazione di tali criteri: i) sono considerati imballaggi gli articoli che rientrano nella definizione di cui sopra, fatte salve altre possibili funzioni dell’imballaggio, a meno che tali articoli non siano parti integranti di un prodotto e siano necessari per contenere, sostenere o preservare tale prodotto per tutto il suo ciclo di vita e tutti gli elementi siano destinati ad essere utilizzati, consumati o eliminati insieme; ii) sono considerati imballaggi gli articoli progettati e destinati ad essere riempiti nel punto vendita e gli elementi usa e getta venduti, riempiti o progettati e destinati ad essere riempiti nel punto vendita, a condizione che svolgano una funzione di imballaggio; iii) i componenti dell’imballaggio e gli elementi accessori integrati nell’imballaggio sono considerati parti integranti dello stesso. Gli elementi accessori direttamente fissati o attaccati al prodotto e che svolgono funzioni di imballaggio sono considerati imballaggio a meno che non siano parte integrante del prodotto e tutti gli elementi siano destinati ad essere consumati o eliminati insieme”.
Ai fini dell’attuazione della direttiva è stato emanato il D.Lgs. n. 22 del 1997, ed in particolare gli artt. 34 ss. dedicati alla “gestione degli imballaggi”, riprodotti dagli artt. 217 ss. del D.Lgs. n. 152 del 2006. L’art. 218 di quest’ultimo testo legislativo, per quanto qui rileva, prevede quanto segue: “si intende per: a) imballaggio: il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo; b) imballaggio per la vendita o imballaggio primario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore; c) imballaggio multiplo o imballaggio secondario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita, indipendentemente dal fatto che sia venduto come tale all’utente finale o al consumatore, o che serva soltanto a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di vendita. Esso può essere rimosso dal prodotto senza alterarne le caratteristiche; d) imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario: imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli per evitare la loro manipolazione ed i danni connessi al trasporto, esclusi i container per i trasporti stradali, ferroviari marittimi ed aerei; e) imballaggio riutilizzabile: imballaggio o componente di imballaggio che è stato concepito, progettato e immesso sul mercato per sopportare nel corso del suo ciclo di vita molteplici spostamenti o rotazioni all’interno di un circuito di riutilizzo, con le stesse finalità per le quali è stato concepito. (…) 2. La definizione di imballaggio di cui alle lettere da a) ad e) del comma 1 è inoltre basata sui criteri interpretativi indicati nell’articolo 3 della direttiva 94/62/CEE, così come modificata dalla direttiva e sugli esempi illustrativi riportati nell’Allegato E alla parte quarta del presente decreto”.
Secindo la Corte, la tesi sostenuta in dottrina circa la possibilità di assoggettare a privativa anche gli imballaggi terziari, alla luce del dettato dell’art. 221, comma 4, del codice dell’ambiente, non tiene conto della valenza decisiva dell’art. 195 del medesimo codice che fa salve le competenze statali generali in materia – l’importanza delle quali è stata ribadita, da ultimo, da Corte cost. n. 189/2021 – norma la quale finisce per neutralizzare la portata del suindicato art. 221 comma 4, dovendosi, quindi, ritenere certamente sussistente il divieto di immissione degli imballaggi terziari nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani sulla scorta della normativa vigente sopra richiamata.
Per altro verso viene osservato che non appare fondata la tesi la quale assume che i rifiuti da imballaggi secondari sarebbero sottoposti al medesimo regime dei rifiuti speciali non assimilabili perché deriverebbero da commercio all’ingrosso. Devono sul punto richiamarsi i principi fissati da questa Corte con la sentenza n. 4915/2024 ove è stato condivisibilmente chiarito che ciò che rileva è esclusivamente la verifica della specifica natura dei rifiuti prodotti, vale a dire la tipologia di imballaggi (se primari, secondari o terziaria) presenti nei locali aziendali (e quindi in essi “formati” e da smaltire) al fine di accertare la loro assimilazione e/o assimilabilità.
Occorre, quindi, evidenziare che in forza dell’art.14, commi 10 e 11, del D.L. 201/2011 (TARES): “10. Nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. 11. La tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio”.
Secondo l’art.1, commi 641 e 642, legge 147/13: “641. Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva. 642. La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani…”.
La riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera anche per quei particolari ‘rifiuti speciali’ costituiti dagli imballaggi terziari (qui dedotti), non assimilati né ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari. Si è in proposito più volte affermato (con riguardo tanto alla Tarsu quanto alle sue varianti Tia1 e Tares, assoggettate a linea normativa di continuità: Cass. n. 2373/22 ed altre) che agli imballaggi terziari (nonché agli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) si applica appunto la disciplina di cui all’art. 62, comma 3, cit., il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si formano i rifiuti speciali; per questa loro natura, gli imballaggi terziari non possono essere immessi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani (oggetto di privativa comunale) e devono essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati ex art.21 comma 7 D.Lgs. 22/1997. La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina (Cass. nn. 10010/2019; Cass. n. 703/19; Cass. n. 4960/2018; Cass. n.4793/2016 ed altre), sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento).
In particolare, Cass. n. 16235/2015 ha osservato che “l’impresa contribuente ha l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, atteso che, pur operando anche nella materia in esame, per quanto riguarda il presupposto dell’occupazione di aree nel territorio comunale, il principio secondo cui spetta all’amministrazione l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia ex art. 70 del citato D.Lgs. n. 507 del 1993) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, che integra un’eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale”. Si legge, poi, in Cass. n. 7187/2021 che: “Va, poi, osservato che questa Corte (vedi, ex plurimis, Cass. n. 12979/2019 e n.10634/2019) ha affermato che è onere del contribuente provare, a fronte della pretesa impositiva dell’Amministrazione, che tali aree producono “solo” rifiuti speciali, …, e solo all’esito di tale onere e in assenza di loro assimilazione a quelli urbani, spetta l’esenzione del pagamento della quota variabile della TIA”; analogamente Cass. n. 2373/2022 per Tares e Cass. n. 34635/2021 per la TARI. In proposito appare utile richiamare anche quanto evidenziato da Cass. n. 19551/2024 in tema di tassabilità ai fini della imposta sui rifiuti delle aree di pertinenza della METRO ITALIA Spa
Si è, inoltre, stabilito (Cass. n. 14038/2019; Cass. n. 5360/2020 ed altre) che il tributo – da applicarsi, ex art. 49, comma 3. D.Lgs. 22/97, “a chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale” – è strutturato in una parte variabile ed in una parte fissa (D.Lgs. cit.), in modo che: – il presupposto impositivo della parte variabile della tariffa (sempre che sia stato istituito ed effettivamente svolto il servizio di raccolta e smaltimento) va individuato nella produzione di rifiuti urbani o assimilati, ferma restando la facoltà dei Comuni di prevedere una riduzione di questa parte variabile nel caso in cui il contribuente provi di smaltire in proprio, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati prodotti (art. 49 co. 14 D.Lgs. 22/1997); per contro, la quota variabile della tariffa non è dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati, e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate; – la parte fissa della tariffa è invece dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività (dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività); si tratta di costi ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (vedi Cass. n. 14038/2019; Cass. n 16994/2020; Cass. n. 5360/2020; Cass. n. 22772/2021; Cass. n. 29542/2021; Cass. n. 32603/2021; 32604; Cass. n. 12850/2022; Cass. T., n. 5429/2023, nonché da ultimo Cass. 4915/2024 e Cass. n.23228/2024).
E’ già stato esaminato (vedi Cass. n. 21490/2022; Cass., n. 8753/2023 e Cass. n. 9032/2023) il suindicato quadro normativo, reputato sostanzialmente omogeneo a quello che connotava la disciplina della TARSU ed ha, in particolare, posto in rilievo che il presupposto impositivo della tassa sui rifiuti rimane, pur sempre, correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così come, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (vedi Cass. n. 12979/2019 nonché Cass. n. 22130/2017), giacché la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti determina una presunzione, iuris tantum, di produttività degli stessi, che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore dell’area (cfr. Cass. n. 6551/2020; Cass. n. 1403723/2019; Cass. n. 18054/2016 tutte richiamate da Cass. n. 21490/2022).
In sostanza “La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina (Cass. n. 10010/2019; Cass. n. 703/2019; Cass. n. 4960/2018; Cass. n. 4793/2016 ed altre), sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento)” (così Cass. n. 8205/2022 e nello stesso senso, Cass. 8222/2022).
In ogni caso, i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 del cd. decreto Ronchi e dalla successiva abrogazione della legge n. 146 del 1994, art. 39. Ne consegue che i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno disapplicati in parte qua dal giudice tributario (in questo senso già Cass. n. 627/2012: Cass. n. 4793/2016, Cass. n. 703/2019; Cass. n. 4960/2018 tutte richiamate da Cass. Civ. 5580/23).
In conclusione, per la Corte, fermo restando che occorre tenere ferma la distinzione fra la disciplina TARES – che prevede l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali (cfr. in Cass. nn. 4564/2023; Cass. nn. 22131/2022, 26183 del 2019, 1963 e 11451/2018, Cass. n. 12979/2019, Cass. n.22130/2017) e quella TARI – che stabilisce che nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori – alla luce di tali ricapitolati criteri interpretativi, esaminando congiuntamente i suindicati motivi di ricorso, va osservato che la Commissione regionale non si è attenuta a tali principi ed erroneamente ha desunto la totale legittimità degli atti impositivi opposti e la conseguente debenza del tributo, in ragione del fatto che la società contribuente non aveva assolto all’onere di dimostrare “che sulle aree per le quali ha chiesto la detassazione fossero prodotti solo rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani…” così incorrendo nell’errore giuridico e motivazionale di omettere di considerare e di qualificare puntualmente la tipologia dei rifiuti prodotti nonché di verificare se vi era prova in atti dell’area in cui i rifiuti speciali non assimilabili (o non assimilati) si erano formati in rapporto a quelle complessivamente detenute dalla società e normalmente produttive di rifiuti urbani ricompresi nell’ordinario ciclo di privativa comunale e se la documentazione prodotta in atti e richiamata in ricorso fosse idonea a comprovare che la contribuente avesse conferito lo smaltimento di tali rifiuti a soggetti terzi autorizzati iter logico che avrebbe dovuto seguire nell’inquadrare e decidere la vicenda.
Il ricorso della contribuente, una società nota nel “cash & carry” a livello internazionale, viene dunque accolto.