Soglia di punibilità dell’omesso versamento: la Corte Costituzionale richiama la sentenza n. 80 del 2014.

by Luca Mariotti

La Corte Costituzionale con Ordinanza n. 88 del 15 maggio 2015 dichiara manifestamente inammissibile l’eccezione di incostituzionalità sollevata dal Tribunale ordinario di Milano, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205).

 

La questione viene sollevata per presunto contrasto, appunto, con l’art. 3, nella parte in cui, limitatamente ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, la norma introdotta dalla Manovra di Ferragosto del 2011 prevedeva per il delitto di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) una soglia di punibilità (euro 50.000) inferiore a quelle stabilite per i delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione dagli artt. 4 e 5 del medesimo decreto legislativo, prima delle modifiche operate dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (rispettivamente, euro 103.291,38 ed euro 77.648,53).

 

L’ordinanza di rimessione è datata dicembre 2013. Successivamente ad essa, però, la Consulta è già intervenuta nei sensi auspicati dal rimettente, dichiarando costituzionalmente illegittima, con la sentenza n. 80 del 2014, la norma censurata «nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo d’imposta, ad euro 103.291,38».

 

La questione pertanto secondo la Corte Costituzionale deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per sopravvenuta mancanza di oggetto, in quanto, a seguito della sentenza ora citata, la norma censurata è stata già rimossa dall’ordinamento, in parte qua, con efficacia ex tunc (ex plurimis, ordinanze n. 28 del 2015, n. 272 e n. 206 del 2014, n. 321 del 2013).

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