“In virtù del principio fondamentale di neutralità dell’imposta, la società ritenuta non operativa può portare in detrazione l’imposta assolta, anche se non abbia presentato l’interpello disapplicativo – salvo che i costi siano fittizi e sia, perciò, configurabile una fattispecie fraudolenta o comunque effettivamente elusiva – potendo la prova della sussistenza del diritto essere fornita non solo con la procedura di cui agli artt. 30 comma 4- bis, della l. n. 724 del 1994 e 37-bis, del d.P.R. n. 600 del 1973, ma anche in sede processuale”.
Questo il principio ribadito con sentenza n. 24216 (Pres. Bruschetta, Rel. Hmeljak) del 9 settembre 2024 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.
Nei fatti una s.r.l. ricorreva per cassazione avverso la sentenza della CTR che, in riforma della decisione di prime cure, accogliendo la tesi dell’Agenzia, aveva ritenuto legittimo il diniego del rimborso IVA sui presupposti della perdurante situazione di perdita sistematica e della mancata presentazione di interpello disapplicativo.
Come ricordato dalla Corte, con riferimento alla disciplina delle c.d. “società di comodo” (art. 30 della l. n. 724 del 1994), “l’interpello disapplicativo non rappresenta una condizione di procedibilità e non limita la tutela giurisdizionale del contribuente che ha sempre la facoltà di superare la presunzione legale di “non operatività”, mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi in misura pari alle soglie determinata ai sensi dell’art. 30 cit., ben potendo il contribuente esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva, non essendo a tal fine necessario esperire preventivamente il rimedio precontenzioso dell’interpello disapplicativo” (Cass. n. 4946 del 24/02/2021 e n. 10158 del 28/05/2020).
I Giudici, accolto il ricorso della società contribuente, hanno sottolineato il malgoverno dei richiamati principi di diritto operato dalla CTR. In particolare il giudice di seconde cure si è limitato ad affermare genericamente che il diniego di rimborso del credito IVA maturato nel 2020 (a) fosse giustificato dalla situazione di perdita sistematica della società, (b) che la società non rientrava in alcuna delle cause di esclusione previste dall’art. 30 della l. n. 724 del 1994 e che (c) non si era avvalsa dell’interpello probatorio, senza tuttavia “verificare, in concreto, se gli elementi forniti dalla contribuente potevano configurare quelle “oggettive situazioni” in grado di giustificare la mancanza di operazioni rilevanti ai fini IVA, al fine di beneficiare della disapplicazione della norma antielusiva”.
Vale solo la pena ricordare, peraltro, che pochi mesi fa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 7 marzo 2024 che ha deciso sulla causa C‑341/22 che ha visto protagonista una società per azioni italiana, ha censurato la normativa sulle società di comodo ed in particolare le disposizioni sulle società considerate “non operative”. Il rinvio pregiudiziale ai Giudici europei era stato effettuato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16091 del 19 maggio 2022 della quale avevamo dato conto nel nostro sito.