Sentenza Taricco, giurisprudenza penale successiva e gravità della frode: la terza sezione ripercorre lo stato dell’arte (in attesa della Corte Costituzionale…).

by Luca Mariotti

Una bella e molto ben argomentata sentenza della III Sezione Penale della Corte di Cassazione dà conto dell’andamento della giurisprudenza penale dopo la sentenza “Taricco” e dei parametri ad oggi elaborati per la valutazione di gravità del reato. Si tratta della Sentenza n. 31265 depositata il 22 giugno 2017, Pres. Amoresano Rel. Molino.

Nel ricorso il PG si duole che il Tribunale dichiarando l’estinzione del reato di frode fiscale di cui all’art. 2 d. L.gs n. 74 del 2000, abbia totalmente omesso di prendere in considerazione l’approdo raggiunto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2210 del 17/09/2015 per cui, in materia di reati tributari, nelle ipotesi consistenti in condotte fraudolente che comportino, in concreto, l’evasione in misura “grave” di tributi IVA devono essere disapplicate – in quanto in contrasto con gli obblighi comunitari imposti agli Stati membri dall’art. 325, paragrafi 1 e 2, del TFUE, in considerazione di quanto affermato nella sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, 8 settembre 2015, C-105/14, Taricco – le disposizioni in materia di prescrizione di cui agli artt. 160, terzo comma, ultima parte, e 161, comma secondo, cod. pen., trovando invece applicazione, in tali casi, la più rigorosa disciplina già prevista nell’ordinamento per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis e 3- quater, cod. proc. pen., secondo cui il termine ordinario di prescrizione ricomincia a decorrere dopo ogni atto interruttivo.

Come è noto, infatti, con la sentenza Taricco la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che la normativa italiana in materia di prescrizione, come risultante dal combinato disposto degli articoli 160, ultimo comma e 161 c.p. (ossia nella parte in cui determina, anche per frodi gravi in materia di IVA, un’interruzione del termine di prescrizione non superiore ad un quarto della sua durata iniziale), è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 325, paragrafi 1 e 2 TFUE, dal momento che impedisce di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea. Da qui la Corte ha ordinato che il giudice nazionale dia piena efficacia alle norme del Trattato, se necessario disapplicando le disposizioni nazionali che con queste si pongano in contrasto, ordine di disapplicazione. E la Corte di Cassazione ha, con la sentenza Pennacchini, sostanzialmente aderito a tale indicazione.

La questione può dirsi peraltro tutt’altro che consolidata visto che la Corte d’Appello di Milano (App. Milano, Sez. II, 18 settembre 2015, De Bortoli + altri) – ravvisando un contrasto tra l’art. 2 della legge 123/2008 (esecutiva del TFUE in Italia) e l’art. 25, comma 2 Cost., proprio nella parte in cui si risolve nell’imporre la prevalenza dei Trattati su una norma penale interna anche qualora da ciò derivi (come nel caso di specie) l’applicazione retroattiva all’imputato di una disciplina penale sostanziale sfavorevole – ha pronunciato ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale. A tale pronuncia ha fatto seguito un’ulteriore ordinanza di rimessione alla Corte costituzionalle della III Sezione penale (Ordinanza n. 28346 del 30/03/2016, Cestari, Rv. 267259) – che ha reputato non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale – in relazione agli artt. 3, 11, 25 comma secondo, 27, comma terzo, 101, comma secondo, Cost. – dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n.130, che ordina l’esecuzione del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dall’art. 2 del trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare l’art. 325, par.1 e 2 TFUE, come interpretato dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione con la sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco, da cui discende l’obbligo per il giudice nazionale – in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA – di disapplicare le disposizioni in materia di prescrizione di cui agli artt. 160, comma terzo e 16, comma secondo cod.pen. “anche quando dalla disapplicazione e dal conseguente prolungamento della prescrizione, discendano effetti sfavorevoli per l’imputato”.

Sulla questione è intervenuta anche la IV Sezione con la sentenza n. 7914 del 25/01/2016, Tormenti, affermando che i principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande sezione, Taricco e altri del 8 settembre 2015, C-105/14, in ordine alla possibilità di disapplicazione della disciplina della prescrizione prevista dagli artt. 160 e 161 cod. pen., non si applicano ai fatti già prescritti alla data di pubblicazione di tale pronuncia, avvenuta il 3 settembre 2015.

Ancora, nell’applicare i principi affermati dalla sentenza Taricco si è detto (Sez. 3, n. 44584 del 07/06/2016, Puteo e altro) che tale impostazione presuppone, da un lato, l’esistenza di un procedimento penale riguardante “frodi gravi”, da intendersi con riferimento sia alle fattispecie espressamente connotate da fraudolenza, sia a quelle che, pur non richiamando espressamente tale requisito della condotta, siano dirette all’evasione dell’Iva.

Con riferimento al caso in esame la situazione di fatto non è tale da presentare i predetti caratteri di gravità. Viene pertanto respinto il ricorso del PG.

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