Rifiuto di esibizione e preclusione di produzione successiva: va applicato solo nello specifico caso normativamente previsto e valutato con riferimento al principio di buona fede.

by Luca Mariotti

“L‘omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa non determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa per il mero verificarsi di detta omessa esibizione, ma in presenza del peculiare presupposto, la cui prova incombe sull’Agenzia, costituito dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza (cfr. art. 32 comma quarto del citato d.P.R. n. 600 del 1973)”.

Questo un passaggio saliente della motivazione della Ordinanza 8 marzo 2019, n. 6792 della Sezione filtro della Corte di Cassazione (Pres. Greco, Rel. Capozzi).

Già qualche mese fa una ordinanza anch’essa della VI sezione ci consentì di riepilogare il recente orientamento, molto rigoroso e rispettoso del diritto di difesa, in ordine alle preclusioni di cui al citato art. 32 (e dell’omologo art. 52 del decreto IVA). Si disse allora che il rifiuto presuppone che vi sia stata una specifica richiesta degli agenti accertatori (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ed opera non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione “doloso”) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere i documenti in suo possesso, o li sottragga all’ispezione, non allo scopo di impedire la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.).

A questi principi l’ordinanza in commento si richiama in toto, precisando come il divieto di utilizzazione in sede contenziosa dei documenti non prodotti in via amministrativa vada letto alla luce dei principi di collaborazione e buona fede in senso oggettivo, espressamente enunciati dall’art. 10 della legge n. 212 del 2000 (c.d. statuto dei diritti del contribuente), ai quali devono conformarsi sia i contribuenti che l’amministrazione finanziaria. Si ribadisce, anzi: “pertanto non è solo il contribuente che deve collaborare, ma anche l’ufficio è tenuto ad ispirare la propria condotta agli anzidetti canoni della lealtà e della collaborazione”.

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