Presunzioni supersemplici negli accertamenti fiscali: sono prove solo qualora si sia nell’ambito di un induttivo “puro”.

by AdminStudio

Niente di particolarmente innovativo nella Ordinanza 15 maggio 2025 della Sezione Tributaria dell Corte di Cassazione (Pres. La Rocca Rel. Leuzzi), ma alcuni riferimenti a situazioni pratiche che riteniamo utile segnalare ai nostri lettori

La Corte nel caso specifico accoglie un ricorso dell’Agenzia delle Entrate focalizzato su un unico motivo inerente la violazione dell’art. 39 del DPR 600/73.

Nella specie, infatti, la CTR ha valorizzato la mancanza di “elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti sulla contestata sottofatturazione”.

In realtà, l’avviso di accertamento, riportato in parte nel corpo del ricorso, è teso a rimarcare che “il pagamento della quota parte sottofatturata avveniva a mezzo di flussi finanziari estranei alla contabilità della società cessionaria da riferirsi a fondi extracontabili”, soggiungendo che “documentazione probante dell’avvenuta sottofatturazione veniva rinvenuta nell’ambito dei rapporti intrattenuti tra la LG Spa e gli agenti di commercio intermediari di zona per le cessioni effettuate dalla società verificata”.

In buona sostanza, l’Agenzia ha ritenuto che i dati contabili paralleli rispetto alla contabilità ufficiale deponessero nel senso della radicale inaffidabilità di quest’ultima, giustificando il “ricorso all’accertamento induttivo ai sensi degli articoli 39, comma 2, lett. A), e 41 delD.P.R. 633/72”.

In tema di accertamento, ricordano i Giudici, l’inattendibilità complessiva delle scritture contabili legittima l’amministrazione finanziaria all’uso di presunzioni supersemplici, ovvero anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, invertendo sul contribuente l’onere della prova contraria (Cass. n. 7290 del 2020).

Nel caso di inattendibilità delle scritture contabili la legge attribuisce, dunque, all’ufficio tributario il potere di accertare i fatti per presunzioni c.d. “supersemplici”, ferma la possibilità per il contribuente di fornire la prova contraria (Cass. n. 27063 del 2007;Cass. n. 24532 del 2007).

Segnatamente, in tema di rettifica delle dichiarazioni dei redditi d’impresa, mentre in presenza di irregolarità della contabilità meno gravi, contemplate dall’art. 39, comma 1,D.P.R. n. 600 del 1973, , l’amministrazione può procedere a rettifica analitica, utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente, ovvero dimostrando, anche per presunzioni, purché munite dei requisiti di cui all’art. 2729c.c., l’inesattezza o incompletezza delle scritture medesime, allorquando, invece, constati un’inattendibilità globale delle scritture, l’ufficio è autorizzato, ai sensi del successivo secondo comma, a prescindere da esse ed a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire prova presuntiva (Cass. n. 27068 del 2006).

La Corte infine ricorda come la circostanza che le irregolarità contabili siano così gravi e numerose da giustificare un giudizio di complessiva inattendibilità delle stesse rende, dunque, di per sé sola legittima l’adozione del metodo induttivo, senza che sui presupposti per il ricorso ad esso incidano le modalità con cui tale forma di accertamento viene poi eseguita: l’amministrazione può quindi utilizzare elementi esterni rispetto alle scritture, ma anche dati da queste emergenti, nella misura in cui risultino singolarmente affidabili.

Nel caso specifico a dire il vero non si trattava di irregolarità gravi, numerose e ripetute, ma di uno specifico elemento, potenzialmente capace di rendere inattendibile la contabilità, ovvero le annotazioni “a nero”. Questo aspetto, cioè la legittimità del ricorso all’induttivo puro (siamo sempre nella interpretazione dell’art. 39 su cui come detto si fonda il ricorso) pare per la verità essere valutato solo per quanto scritto nell’atto impositivo (le cui affermazioni sono addirittura virgolettate nella motivazione dell’ordinanza) ma non sembra sia stato indagato dai Giudici di Legittimità.

 

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