Operazioni soggettivamente inesistenti e onere della prova: necessaria forse un po’ di chiarezza.

by Luca Mariotti

Nell’ordinanza 28 maggio 2018, n. 13354 della VI Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. Luciotti) si torna a trattare di operazioni soggettivamente e di onere della prova della buona fede del cessionario (nel caso l’onere spetti a quest’ultimo) oppure della conoscibilità della frode (nel caso la prova debba essere a carico dell’amministrazione).

Per la verità la recentissima  ordinanza 19 aprile 2018 n. 9721 della Sezione Tributaria aveva fatto una accurata disamina della questione e, per certi versi, appare oggi come una pronuncia di riferimento in materia. In essa, sul punto si leggeva “Dato che il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, spetta all’amministrazione tributaria dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di cessioni (cfr. CGUE 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C-439/04 e C-440/04; CGUE 21 giugno 2012, Mahagében e Dóvid, C-80/11 e C-142/11; CGUE 6 settembre 2012, Tóth, C- 324/11; CGUE 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; CGUE 31 gennaio 2013, Stroy Trans, C-642/11)”.

Quindi un onere della prova chiaramente a carico dell’amministrazione. E’ pur vero che la Sesta sezione in due ordinanze (numero 3473 e numero 3474 del 13 febbraio 2018) aveva fatto pensare ad una sostanziale inversione dell’onere della prova: in sostanza l’amministrazione sarebbe chiamata solo a provare la frode dal lato del cedente, mentre il contribuente ha l’onere di dimostrare la sua non conoscibilità nel caso specifico.

Nella pronuncia di due giorni fa la sezione filtro, con identico Presidente e Relatore rispetto alle due ordinanze citate dello scorso febbraio, fa lo stesso ragionamento. La motivazione è assai meno ricca di quella della V Sezione di un mese fa, ma essa contiene tuttavia un riferimento ad altra recente pronuncia, sempre della Tributaria (Cass. n. 2260 del 2018), nella quale si aderiva all’orientamento “pro-fisco”.

Insomma non ci sembra che si possa oggi delineare un quadro chiarissimo della elaborazione giurisprudenziale sul punto e forse un intervento delle Sezioni Unite va profilandosi. Da parte nostra concordiamo con il principio posto sopra in corsivo, oltre che con le vaste argomentazioni della sentenza di un mese fa. E con l’idea che un atto impositivo ponga sempre l’onere della prova a carico di chi vuol far valere il diritto economico da questo nascente. In questo contesto allora, se la conoscibilità della frode con mezzi ordinari è un presupposto per l’emissione dell’atto, non si vede perché debba essere posta a carico del contribuente la prova del fatto negativo, mai ritenuta agevole in tutta la nostra tradizione giuridica.

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