Operazioni inesistenti: onere della prova a carico degli Uffici.

by Luca Mariotti

Ancora una sentenza della Corte di Cassazione (14 gennaio 2015 n. 428) che delinea in maniera semplice la questione delle fatture per operazioni inesistenti e dei riflessi fiscali delle stesse.

Elementi imprescindibili di questa prospettazione sono a) la distinzione tra operazioni inesistenti sotto il profilo oggettivo e soggettivo, risultando determinanti solo le prime ai fini del recupero fiscale in capo al cessionario b) il fatto che, una volta identificata la “cartiera” (ovvero il presupposto dell’inesistenza soggettiva), per provare quella oggettiva si potrà far ricorso anche a presunzioni, solo se gravi precise e concordanti. Ma in tale contesto si precisa che l’onere probatorio è sempre a carico dell’Ufficio accertatore e non spetta al contribuente provare l’effettività dell’operazione.

Quindi, “nella ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti (in tale nozione dovendo essere ricondotte non soltanto le ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata, ma anche ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi di inesistenza soggettiva, nella quale, pur risultando i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture che ha regolarmente versato il corrispettivo, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto documentato dalla fattura siano falsinon spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’Amministrazione finanziaria, che adduce la falsità del documento, provare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere (cfr. Corte cass. 5 sez. 12.12.2005 n. 27341; id. 5 sez. n. 12802 del 10/06/2011; id. 5 sez. 11.9.2013 n. 20786)”.

Tale prova è raggiunta se l’Amministrazione fornisca validi elementi (alla stregua del DPR n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e art. 40 e del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2), che possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice (art. 2727 c.c. ), per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, ovvero che (ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. c) e art. 54, comma 3 dei decreti indicati) per dimostrare “in modo certo e diretto” la “inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati” ovvero la “inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione” (prova che può essere data anche attraverso “i verbali relativi ad ispezioni seguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti” in possesso dell’Ufficio). In tal caso passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Corte cass. 5 sez. 19.10.2007 n. 21953; id. 11.6.2008 n. 15395; id. 7.2.2008 n. 2847)”.

Non resta che auspicare che questa prospettazione, sostanzialmente condivisibile, della Suprema Corte raggiunga anche i Giudici di merito, spesso non altrettanto sensibili alle questioni di diritto in questa materia. Almeno per rispetto alla funzione nomofilattica della Corte stessa….

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