Il secondo comma dell’articolo 26 del decreto IVA prevede che “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullita’, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25”.
Come sappiamo però l’emissione delle note di variazione è oggetto di varie interpretazioni e conseguente contenzioso.
L’ordinanza 19 giugno 2023, n. 17438 della Sezione Tributaria (Pres. Fuochi Tinarelli, Rel. Succio) si occupa del caso di un contribuente che aveva impugnato il diniego di rimborso iva ex art. 30, comma 4 del d.p.r. n. 633 del 1972 per l’anno 2014, chiedendo la restituzione di quanto versato a seguito della risoluzione del contratto preliminare di compravendita registrato in data 11 gennaio 2005 e risolto il 3 novembre 2008 con il quale questi si era impegnato a vendere ad una s.r.l un terreno, eccedenza d’imposta che, dunque, era sorta nel 2009 ed era stata via via riportata nelle dichiarazioni successive fino al 2014. Il ricorso era stato respinto dalla CTP di Venezia in quanto i Giudici ritenevano necessaria, in caso di risoluzione del contratto, l’esistenza di un accordo scritto e non di una mera comunicazione, da redigersi nella stessa forma prevista per la conclusione del contratto originario; in appello la CTR del Veneto rigettava l’impugnazione.
La Suprema Corte accoglie invece le ragioni del contribuente.
Si conviene in particolare sulla circostanza che la CTR ha erroneamente affermato, riferendosi anche alla pronuncia di primo grado, che il termine di due anni per la proposizione dell’istanza di rimborso era scaduto all’epoca della domanda di restituzione espressa nella dichiarazione iva 2014, applicando la disciplina prevista per gli accordi risolutori, mentre nel presente caso non vi è stato alcun accordo di tal genere ma unicamente la comunicazione, da parte della società (…) promissaria acquirente del terreno, in data (…), della volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa in origine pattuita per il 31 gennaio 2005. Ma, come si evince dalla ricostruzione del fatto riportata in ricorso, non risulta mai esser stato stipulato alcun accordo espressamente risolutorio tra il contribuente e la sua controparte contrattuale.
Ben diversamente invece, risulta unicamente essersi avverata una condizione risolutiva del contratto.
Quindi le due situazioni sono del tutto differenti: nella prima le parti stipulano un contratto avente effetti opposti a quello precedentemente posto in essere, di segno quindi contrario con riguardo alla prestazioni ivi dedotte; nella seconda le parti non stipulano nulla ma semplicemente prendono atto dell’avverarsi di una condizione risolutiva già pattuita e divenuta efficace poiché si è avverato l’evento naturale ivi dedotto, il cui verificarsi è del tutto indipendente dalla volontà successiva delle parti;
In conclusione “deve ritenersi che ove venga in esistenza una causa di risoluzione di un contratto, la cui efficacia dipende da un evento dedotto all’epoca della stipula del contratto che conteneva la clausola, in relazione alla quale il cedente o il prestatore abbia già emesso fattura per il prezzo ed assolto il conseguente obbligo di riscossione e pagamento dell’Iva, il medesimo soggetto abbia tutto il diritto di emettere la nota di variazione e di detrarre l’imposta, a norma dell’art. 26, comma 2, del d.p.r. n. 633 del 1972, “senza che sia necessario attendere un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell’anzidetta causa di risoluzione” (in senso conforme, Cass. 17 giugno 1996, n. 5568; Cass. 8 novembre 2002, n. 15696);
In presenza dell’attivazione di una clausola risolutiva espressa frutto di un accordo contrattuale, in dipendenza della quale venga meno per intero o parzialmente un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24 del decreto IVA, si considera pertanto legittima l’emissione, ai sensi dell’art. 26, commi 2 e 9, del d.p.r. n. 633 del 1972, di una nota di variazione anche in presenza di una contestazione, in sede giudiziale, dei presupposti per l’attivazione della predetta clausola risolutiva espressa, senza che al riguardo si renda “(…) necessario attendere un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell’anzidetta causa di risoluzione”. Ciò senza che vi sia necessità di formalizzare ulteriormente l’intervenuta risoluzione ove la stessa sia risultato di una clausola contrattuale e non di un autonomo contratto risolutivo tra le parti.