Nella sentenza n. 27905 del 29 ottobre 2024 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Crucitti, Rel. Farolfi) esamina la vicenda di una scissione societaria, in fase di liquidazione, con assegnazione ai soci, previo frazionamento, di un immobile di consistente valore.
Va detto che nella motivazione non siamo riusciti a cogliere gli aspetti tecnici dell’operazione finita nel mirino dell’Agenzia delle Entrate sotto il profilo dell’abuso del diritto. Ciò che appare interessante evidenziare, nella sentenza, è l’enunciazione dei principi alla base dell’abuso del diritto che la Suprema Corte opera.
Secondo i Giudici di Legittimità, dunque, in materia tributaria ricorre l’abuso del diritto, enucleabile in base ai principi di capacità contributiva e di progressività ex art. 53 Cost., ogni qual volta si sia in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, pur se non contrastanti con alcuna specifica disposizione, sono realizzate al fine di eludere l’imposizione e siano prive di sostanza commerciale ed economica; di talché, per configurare la condotta abusiva è necessaria un’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa. In tal senso, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato (cfr. Cass. n. 27158/2021).
Tale principio si trova ribadito, più recentemente, da Cass., Sez. 5, n. 14674 del 27/05/2024, secondo cui in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente di conseguire vantaggi fiscali mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici; tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati, nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali, con la conseguenza che questi ultimi sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria.
Mentre in precedenza si è chiarito che la qualificazione giuridica del comportamento del contribuente in termini di elusione può essere operata anche d’ufficio nel corso del giudizio e prescinde dal rispetto degli oneri procedimentali a carico dell’Amministrazione, quali la richiesta di chiarimenti prima dell’emanazione dell’atto impositivo e la specifica motivazione dello stesso, poiché il negozio abusivo è sempre rilevabile d’ufficio dal giudice, anche in sede di legittimità (così Cass., Sez. 5, n. 33793 del 16/11/2022).
La Corte insiste sul risparmio di imposta precisando, come detto, che se le operazioni, pur se effettivamente realizzate, “riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa”.
Occorre tuttavia ricordare che a norma del quarto comma dell’articolo 10-bis dello Statuto nella odierna formulazione “Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.”
Quanto al concetto di “normalità” economica le ragioni operative delle imprese, con tutto il rispetto dei Giudici, forse andrebbero lasciate a chi fa il mestiere dell’imprenditore non essendo sempre rinvenibili nei manuali giuridici.
Preferiamo al concetto di “normalità” quello normativo della giustificazione delle operazioni stesse sulla base di “valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente” (comma 3 dell’articolo 10-bis, citato).
Insomma i principi enunciati rischiano di essere estremamente restrittivi e datati disattendendo forse in maniera piuttosto evidente l’attuale quadro normativo, opportunamente modificato dopo vicende paradossali (es. vicenda Dolce & Gabbana) che hanno indotto il Legislatore a correggere un certo orientamento interpretativo venutosi a delineare già in passato.