La sezione tributaria sulla efficacia della sentenza penale nel processo tributario e sulla sua rilevabilità d’ufficio alla luce del nuovo art. 21-bis del D. Lgs. n. 74 del 2000.

by Luca Mariotti

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nella ordinanza interlocutoria n. 22181 del 6 agosto 2024 (Pres. Giudicepietro, Rel. Chieca), prende in esame una specifica norma del nuovo decreto legislativo 87/2024 in tema di sanzioni tributarie e sulla sua valenza nei giudizi in corso.

La Corte prende atto che con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione di norme di legge: si sostiene che avrebbe errato la CTR laziale nel ritenere applicabile al caso di specie la disciplina sul raddoppio dei termini per l’accertamento dettata dall’art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, nella versione operante «ratione temporis», sebbene la notifica degli atti impositivi fosse avvenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale penale di Roma che aveva escluso la sussistenza del reato di dichiarazione infedele ex art. 4 del D. Lgs. n. 74 del 2000, astrattamente configurabile a carico del contribuente in relazione ai fatti di evasione fiscale posti a base degli accertamenti tributari impugnati.

Nella parte finale del motivo si deduce, altresì, che <l’esistenza, al momento della notifica degli accertamenti, di una sentenza passata in giudicato che espressamente escluda le violazioni, e quindi la sussistenza stessa dei presupposti per l’applicazione del maggior termine per l’accertamento, ne fa discendere l’inammissibilità degli accertamenti, se notificati in epoca successiva, e quindi la loro illegittimità, laddove eventualmente proposti>;

Con il secondo mezzo, pure proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., sono poi lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 32, <comma 7> (recte: comma 1, nn. 2] e 7] -n.d.r.), del D.P.R. n. 600 del 1973: si rimprovera al collegio regionale di aver erroneamente applicato nei confronti del M.G., professionista intellettuale, la presunzione legale di ricavi non contabilizzati stabilita dalla disposizione normativa innanzi citata, che ad avviso del ricorrente dovrebbe ormai ritenersi operante, a sèguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, nei riguardi dei soli soggetti che esercitano attività d’impresa; viene, inoltre, contestata la ripresa a tassazione, come redditi occulti, dei versamenti eseguiti su conti correnti intestati a prossimi congiunti (moglie, figli e suocera) del contribuente.

I Giudici rilevano che in data 29 giugno 2024, successivamente alla scadenza dei termini di cui all’art. 380-bis.1, comma 1, c.p.c., è entrato in vigore l’art. 21-bis del D. Lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m), del D. Lgs. n. 87 del 2024 (<Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111>), il quale così recita:

«1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in sèguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.

2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio»;

Rilevano altresì che risulta dagli atti di causa che con sentenza penale dibattimentale del Tribunale di Roma n. 8313/14 del 13 febbraio 2014, depositata il 13 maggio 2014 e divenuta irrevocabile, il ricorrente è stato assolto con la formula «perché il fatto non sussiste» dai reati tributari contestatigli, in parte riguardanti i medesimi fatti di evasione fiscale posti a base degli avvisi di accertamento oggetto della presente controversia.

In conclusione, ritenuto che, a fronte del rilievo officioso della cennata questione e della sua potenziale valenza decisiva, si renda necessario consentire al Pubblico Ministero e alle parti di formulare eventuali osservazioni in merito all’incidenza dello «ius superveniens» sul presente giudizio, richiamando l’art. 384, comma 3, c.p.c., La Corte riserva la decisione, assegnando al Pubblico Ministero e alle parti il termine di trenta giorni dalla comunicazione della ordinanza per il deposito in Cancelleria di osservazioni sulla questione innanzi esposta, rilevata d’ufficio.

 

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