La Sezione Tributaria avalla, con motivazioni non esattamente chiarissime, la deroga al “favor rei” contenuta nella riforma delle sanzioni amministrative tributarie.

by Luca Mariotti

La sentenza 19 gennaio 2025 n. 1274 della sezione tributaria della Corte di Cassazione (Pres, Fuochi Tirarelii, Est. Federici) affronta la questione della possibilità di applicare retroattivamente la meno afflittiva, prevista ed introdotta dal D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87.

La ricorrente aveva rappresentato con specifico motivo che, nell’ambito degli ampi interventi di riforma del sistema tributario, che trovano genesi a partire dalla legge delega 9 agosto 2023, n. 111, è intervenuto l’art. 2, D.Lgs. n. 87 del 2024, che, tanto per l’ipotesi prevista dall’art. 5, comma 4, del D.Lgs. n. 471 del 1997, quanto per l’ipotesi prevista dall’art. 6, comma 6, del medesimo decreto legislativo, ha ridotto la sanzione al 70 per cento (rispetto a quelle più gravi, dal 90 per cento al 180 per cento in precedenza prevista per la prima infrazione -nel caso concreto determinata nel 90 per cento; e del 90 per cento, così disposta in precedenza in misura fissa, per la seconda infrazione).

Facendo tuttavia presente che l’art. 5 del D.Lgs. n. 87 del 2024 ha disposto che il regime sanzionatorio più favorevole, introdotto con i commi 2, 3 e 4 del cit. art. 2, trovi applicazione alle violazioni commesse a partire dal 1 settembre 2024, con ciò derogando al principio della retroattività della sanzione più favorevole, sancito dall’art. 3, comma 3, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

La ricorrente sul punto ha al contempo denunciato l’illegittimità costituzionale della norma. Ciò sotto il profilo 1) dell’eccesso di delega rispetto ai principi e alle direttive stabilite dalla L. n. 111 del 2023; 2) della violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, nonché degli artt. 6 e 7 CEDU e dell’art. 49 CDFUE.

Nello specifico, oltre che dell’eccesso di delega, la difesa della società si è doluta della violazione del principio di uguaglianza sostanziale dei cittadini, che in materia sanzionatoria imporrebbe il medesimo trattamento degli stessi fatti, prescindendo dalla loro commissione prima o dopo l’entrata in vigore della disciplina più favorevole. Si è doluta pertanto della violazione del principio della retroattività della lex mitior, applicabile tanto alle sanzioni penali in senso stretto, quanto a quelle amministrative aventi contenuto sostanzialmente penale. A tal fine ha invocato la disciplina e la giurisprudenza unionale. Ha quindi sostenuto che, a prescindere dalla sussistenza o meno dei presupposti per la rimessione della questione alla Corte costituzionale, comunque invocata, l’art. 5 debba essere disapplicato per contrasto con l’art. 49, par. 1, del CDFUE.

E fin qui niente di strano. Si sono messe in campo le argomentazioni, tutte piuttosto semplici e condivisibili, che la dottrina ha posto in risalto fin dall’emanazione del D.Lgs. 87/2024. L’eccesso di delega (la Legge 111/2023 non prevede la irretroattività della sanzione più favorevole, le regole penalistiche alla base della riforma del 1997, l’art. 3 della Costituzione, il valore penalistico attribuito in ambito di giurisprudenza unionale alla sanzione amministrativa tributaria di valenza afflittiva ed il contrasto con alcune regole della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione.

Per la Corte l’applicazione della sanzione più favorevole è preclusa da una espressa previsione normativa, ed in particolar modo all’art. 5 del D.Lgs. n. 87 del 2024, secondo cui la rivisitazione delle sanzioni amministrative in materia fiscale, complessivamente favorevole al contribuente, va applicata a partire dalle violazioni commesse dal 1 settembre 2024, così derogando al generale principio di retroattività della legge più favorevole,

In proposito “la scelta del legislatore non appare in contrasto con i principi costituzionali né con quelli unionali”.

Quanto alle elaborazioni successive esse sfuggono alla predetta chiarezza e sistematicità delle critiche operate dalla dottrina, attingendo a precedenti citati in modo ridondante e non sempre (anzi quasi mai) convincenti sotto il profilo dell’assimilazione delle situazioni citate come riferimento a quella oggetto di interpretazione.

Per la Corte l’equivalenza tra sanzione amministrativa e sanzione penale costituisce una regola tendenziale ineludibile e inevitabile, che tuttavia non giunge ad una perfetta sovrapposizione dei piani. Se è vero che il principio del favor rei trova copertura costituzionale (nell’art. 25 Cost. secondo certa interpretazione, nell’art. 3 Cost. secondo più persuasiva ricostruzione), e sovranazionale nell’art. 49 CDFUE e nell’art. 7 CEDU, e che, come più volte affermato dalla giurisprudenza unionale e da quella nazionale, la sanzione amministrativa può assumere sostanza e natura penale, è altrettanto utile ricordare che la stessa natura penale delle sanzioni ha necessità d’essere perimetrata.

A tal fine, senza lunghe digressioni, punto di costante snodo in materia è sempre rappresentato dai criteri fissati dalla Corte EDU nella sentenza “Engel”, ossia la qualificazione penale dell’illecito e, in sua assenza, al fine della estensione delle garanzie previste dagli artt. 6 e 7 CEDU e 49 CDFUE a illeciti anche non qualificati formalmente come penali, lo scopo afflittivo e non riparatorio della misura, la gravità della misura, anche nella sua applicazione concreta, la rilevanza attribuita dalla disposizione alla gravità del fatto e alla colpevolezza dell’autore (Corte EDU, 8 giugno 1976, caso n. 5100/71, Engel and Others/Netherlands).

Ciò comporta che le regole di garanzia affermate dai principi unionali in tema di reato si estendano alle sanzioni amministrative, ma questo non significa che reato e pena siano perfettamente coincidenti con violazione amministrativa-tributaria e sanzione. La riprova, in tema, è data proprio dall’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997, laddove la norma prevede che “Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”. Si tratta di una regola che, pur prevedendo una deroga al principio della sopraggiunta non punibilità di una condotta, non è stata mai posta in discussione, tanto meno nel panorama dottrinale e giurisprudenziale se ne è denunciato il contrasto con i principi della Carta dei diritti dell’Uomo o con quelli della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. Ebbene, è pur vero che il terzo comma del medesimo articolo, che disciplina proprio l’applicazione della lex mitior, non prevede, al contrario, alcuna espressa deroga, limitandosi invece a disporre che “Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”, avendo dunque quale solo limite la definitività della sanzione applicata.

Viene citata in particolare la pronuncia assunta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in causa C-107/2023, del 24 luglio 2023, a seguito di rinvio pregiudiziale. Il giudice rumeno aveva proposto la questione relativa alle conseguenze dell’applicazione di sentenze della Corte costituzionale di quel Paese che, nel dichiarare l’incostituzionalità di alcune disposizioni, nella parte in cui prevedevano l’interruzione del termine di prescrizione della responsabilità penale mediante la realizzazione di “qualsiasi atto processuale”, aveva di fatto determinato l’applicazione di una forma di prescrizione senza possibilità di atti interruttivi, ciò traducendosi nella vigenza di un sistema normativo, di diritto sostanziale, più favorevole all’imputato ai fini della prescrizione. A fronte della invocazione da parte di taluni cittadini, già condannati per gravi reati fiscali, della applicazione della disciplina più favorevole, in forza della quale i reati loro ascritti sarebbero caduti in prescrizione, il giudice rumeno – al fine di verificare la possibilità di disattendere decisioni della Corte costituzionale senza incorrere in sanzioni disciplinari- si era rivolto alla CGUE, interrogandosi sulla compatibilità delle regole di prescrizione più vantaggiose, di fatto introdotte dalla Corte costituzionale rumena, con il sistema normativo apprestato dall’Unione europea al fine di assicurare che ogni Stato membro garantisca un sistema sanzionatorio effettivo e dissuasivo in caso di frode grave ai danni degli interessi finanziari dell’Unione europea (art. 2 TUE, l’art. 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e l’art. 4, (paragrafo 3), TUE, in combinato disposto con l’art. 325, paragrafo 1, TFUE, con l’art. 2, paragrafo 1, della Convenzione TIF, con gli articoli 2 e 12 della direttiva TIF, nonché con la direttiva 2006/112). E cioè se “con riferimento all’articolo 49, paragrafo 1, ultima frase, della (Carta), debbano essere interpretati nel senso che ostano a una situazione giuridica, come quella oggetto del procedimento principale, in cui i ricorrenti condannati chiedono mediante un mezzo straordinario di ricorso, l’annullamento di una sentenza penale definitiva di condanna, invocando l’applicazione del principio della legge penale più favorevole”.

I passaggi citati della sentenza tuttavia pongono questioni in tema di prescrizione che non sembrano allineate con quelle in esame.

Quanto alla delega, secondo la Corte la lettura dell’art. 20 della legge delega, e gli ampi obiettivi che con essa sono stati assunti dal Legislatore, fanno capire come la riforma -poco importa se epocale o meno, ma certo di grande respiro- non si limita a rideterminare le sanzioni in senso favorevole al contribuente, ma si accompagna ad un ripensamento del ruolo stesso della sanzione, implementando un contesto di collaborazione tra Amministrazione e contribuente (art. 20, comma 1, lett. a, n. 4), e persino prevedendo forme di compensazione tra sanzioni comminate e crediti maturati nei confronti delle amministrazioni (art. 20, comma 1, lett. a, n. 2), oppure valorizzando la condotta successiva o pregressa del contribuente in uno spirito radicalmente rivoluzionato rispetto al passato, quanto meno in termini di obiettivi (art. 20, comma 1, lett. 2 e 3). Concentrare l’attenzione, come emerge dalla difesa della ricorrente, sui soli interventi inerenti il carico delle sanzioni, previsto nell’art. 20, comma 1, lett. c, n. 2 della L. 111 del 2023 (uno dei tanti principi e criteri per la revisione del sistema sanzionatorio, ma che di per sé rappresenta solo una porzione degli interessi in gioco e del riassetto normativo), significa limitare il cono visivo sulla riforma, che non è vagliata nella sua complessa articolazione.

È dunque agevole rilevare che una riforma del sistema tributario, nel quale la previsione di un minor carico sanzionatorio si relaziona ad una modifica radicale del rapporto Fisco/Contribuente, come già prospettato, giustifica ampiamente una irretroattività della nuova disciplina sanzionatoria, senza con ciò poter essere tacciata di violazione dei diritti presidiati dagli artt. 3 e 53 Cost.

E d’altronde, che la deroga sia “pensata” con estrema ponderazione lo si rinviene nella constatazione che l’irretroattività non è coincidente con il momento di entrata in vigore della legge, ma con una data ulteriormente successiva, a comprova della necessità che anche l’attenuazione delle sanzioni necessita di una “tempo” per l’attuazione dell’intero ripensamento dell’impianto sanzionatorio.

Ne discende anche che è parimenti priva di fondamento la denuncia di eccesso di delega del legislatore delegato, come pure prospettato dalla difesa della ricorrente, mancando una espressa previsione derogatoria della lex mitior nella legge delega.

Invece è proprio la complessa revisione della disciplina che in sé porta a reputare come il legislatore delegato, nella ponderazione complessiva dei valori e degli interessi di rilevanza costituzionale, abbia agito nel legittimo perimetro della delega conferita.

La conclusione è quella per cui il Collegio ritiene che non sussistano ragioni che inducano a riconoscere la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 87 del 2024, né reputa che la disciplina sia incompatibile con i principi unionali.

A prima vista pare di leggere l’ennesima pronuncia in cui con pagine e pagine di motivazione, scarsamente attinenti al caso e con apodittiche affermazioni (come quella sul valore “epocale” della riforma, che opera peraltro in seno ai vecchi decreti del 1997…) si afferma ciò che è utile alla “ragion di stato” (o alla “Ragioneria” di Stato, nel caso specifico). Ci riserviamo però considerazioni più approfondite sulla Rivista, anticipando per adesso le prime sensazioni che, essendo sommarie, potrebbero anche essere sbagliate.

 

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