La corte costituzionale sulla tassazione della produzione di energia elettrica da parte degli agricoltori.

by Luca Mariotti

La Sentenza n. 66 della Corte Costituzionale del 24 aprile 2015 decide in termini di rigetto delle eccezioni di incostituzionalità, su una norma che non c’è più (l’art. 1, comma 423, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 22, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66).

Malgrado ciò sono da ricordare alcuni passaggi della sentenza che, per la fonte da cui provengono, non mancheranno di lasciare il segno nella futura giurisprudenza.

La Corte si pronuncia a seguito di due ordinanze del 7 luglio 2014 della Commissione tributaria provinciale di Agrigento. La CTP ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 423, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 22, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, e dell’art. 1, comma 1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), nelle parti in cui non stabiliscono alcun limite di natura qualitativa e/o quantitativa oltre il quale la produzione e la cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche effettuate dagli imprenditori agricoli cessa di essere attività connessa a quella agricola e diviene attività industriale che genera reddito di impresa soggetto a tassazione ordinaria.

Le disposizioni censurate violerebbero gli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione in quanto determinerebbero un sistema di fiscalità di favore assolutamente irragionevole e privo di qualsiasi nesso con l’effettiva capacità contributiva, traducendosi nell’esonero dalla tassazione ordinaria dei ricavi derivanti dalla produzione di energia da fonti rinnovabili.

 

Nel giudizio seguito all’accertamento a carico di un’azienda agricola (in forma di società agricola) la ricorrente deduceva che, in virtù delle norme di cui sopra, l’attività di produzione di energia elettrica mediante impianto fotovoltaico doveva considerarsi attività agricola connessa “senza alcuna eccezione e senza alcun limite”, idonea a generare esclusivamente reddito agrario assoggettato al regime di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 917 del 1986 (d’ora in avanti, «TUIR»).

L’Agenzia delle entrate contestava tale assunto, evidenziando che le richiamate disposizioni richiedono che l’attività di produzione e cessione di energia da fonti rinnovabili debba essere effettivamente connessa a quella agricola e non debba essere così ingente da modificare radicalmente la natura dell’attività esercitata, così da renderla non più agricola ma industriale. L’Ufficio impositore aggiungeva che, secondo quanto previsto dalla circolare n. 32/E del 6 luglio 2009 dell’Agenzia delle entrate, la produzione di energia elettrica non sarebbe da considerare attività connessa a quella agricola se sono superati i 200 kw di potenza nominale complessiva. La ricorrente replicava che tale soglia e le ulteriori condizioni restrittive per l’accesso ai vantaggi fiscali sono contenute esclusivamente nelle circolari dell’Agenzia delle entrate.

La CTP osserva che nell’art. 1, comma 423, della legge n. 266 del 2005, nel testo applicabile ratione temporis, e nell’art. 1, comma 1093, della legge n. 296 del 2006 non è previsto alcun limite oltre il quale la produzione e la cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche effettuate dagli imprenditori agricoli, incluse le società agricole, cessa di essere attività connessa a quella agricola (con conseguente regime fiscale di favore) e diviene attività industriale che genera reddito di impresa soggetto a tassazione ordinaria. Pertanto, sulla base di tali disposizioni il regime fiscale di favore per le imprese agricole dovrebbe applicarsi – come nella vicenda in esame – anche verso soggetti economici che, a fronte di un’attività agricola assolutamente marginale, ottengono ricavi notevolmente maggiori dalla produzione di energia da fonti rinnovabili.

La Corte Costituzionale giudica nel merito la questione non fondata.

Si richiama in primo luogo l’art. 2 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n.99, che individua le società agricole come quelle che «hanno quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività di cui all’art. 2135 del codice civile»; e tali attività, ai sensi del primo comma della norma richiamata, sono «coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse».

L’art. 1, comma 423, della legge n. 266 del 2005, poi, individua tra le attività connesse anche «[fusion_builder_container hundred_percent=”yes” overflow=”visible”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”no” center_content=”no” min_height=”none”][…] la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche nonché di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo e di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo, effettuate dagli imprenditori agricoli, […]» e aggiunge che esse si considerano produttive di reddito agrario. Il legislatore si preoccupa, peraltro, di perimetrare la categoria delle attività connesse, ricorrendo al principio della «prevalenza» dell’attività propriamente agricola nell’economia complessiva dell’impresa. E questa condizione, secondo la Corte e contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, riguarda tutte le attività connesse, ivi compresa quella di produzione e cessione di energia da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche, anche se per quest’ultima non vi è una espressa indicazione in tal senso nel citato comma 423.

Difatti, la norma base della materia, non a caso richiamata sia da questo comma che dall’art. 2 del d.lgs. n. 99 del 2004, è l’art. 2135 del codice civile. È la norma codicistica che individua in termini generali la categoria, specificando, al terzo comma, che si intendono connesse: «le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata […]».

Ebbene, l’attività di cui è questione è appunto, secondo la Corte, da qualificarsi come «attività dirett[a] alla fornitura di beni» e, quindi, per essa vale il requisito della «utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola».

Si conclude che quello che qui viene in evidenza è il fondo, quale «risorsa» primaria dell’impresa agricola, che, anche quando sia utilizzato per la collocazione degli impianti fotovoltaici, insieme alle eventuali superfici utili degli edifici addetti al fondo, deve comunque risultare «normalmente impiegat[a]» nell’attività agricola.[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]

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