La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26340 del 29 settembre 2025 della Sezione Tributaria (Pres. Perrino, Rel. Leuzzi), affronta la questione della deducibilità dell’IVA indetraibile connessa a operazioni soggettivamente inesistenti.
In sostanza secondo la lettura più coerente delle Corti di merito l’IVA è indetraibile in quanto sostanzialmente addebitata da un non imprenditore. Non riconosciuto come tale al momento dell’acquisto anche se con ordinaria diligenza propria dell’imprenditore tale verifica sarebbe stata possibile. Dunque rimanendo effettivo l’acquisto, per quanto da “privato” il costo, aumentato dell’iva indetraibile, resta deducibile.
Nel caso specifico a monte della vicenda la società acquirente aveva definito l’IVA in adesione. In particolare, il supero dell’IVA a credito è stato fatto oggetto di rinuncia da parte della società proprio in sede di adesione. Gli accertamenti sono divenuti definitivi in virtù dell’adesione nel 2012.
Per la Corte, proprio perché l’IVA versata al fornitore è definitivamente indetraibile in virtù di quegli atti, in quanto afferente a operazioni soggettivamente inesistenti del carattere fraudolento delle quali la contribuente è risultata consapevole, è in radice da escludere che essa possa configurare un costo.
Sul punto viene ricordato che Corte ha già di recente affermato che “A fronte di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, l’IVA indetraibile – in quanto corrisposta al soggetto interposto anziché all’effettivo cedente di beni o prestatore di servizi- non è deducibile tra i costi d’impresa ai fini della determinazione delle imposte dirette (IRES e IRAP), in quanto configura un esborso non inerente allo svolgimento della specifica attività economico-produttiva essendo, piuttosto, espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da interrompere il cd. nesso di inerenza” (Cass. n. 1682 del 2024 non massimata).
In effetti, sono inerenti i costi riferiti all’attività da cui derivano i ricavi e i proventi che concorrono a formare l’imponibile aziendale, purché appartenga all’attività produttiva l’evento generatore del decremento che viene in considerazione dal punto di vista fiscale (in questi termini, Cass. n. 31930 del 2021; Cass. n. 17194 del 2022).
La Corte così prosegue: “A maggior ragione queste considerazioni valgono per l’IVA, governata dal principio di neutralità, attuato dal sistema delle detrazioni, che è appunto inteso a sollevare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche (tra varie, Corte giust., causa C- 332/15, punto 29, Astone). L’IVA, dunque, nella sua fisionomia ordinaria è priva in nuce dell’attitudine ad incidere nelle fasi di commercializzazione, numerose o meno che siano, che precedono la fase del consumo del bene. Sotto tale profilo, l’IVA non è suscettibile di essere qualificata alla stregua di costo generale di esercizio; essa non è, in altri termini, ontologicamente un costo “incorporato” nel bene acquistato e non rappresenta intrinsecamente per l’impresa un “costo” collegato ad operazioni che producono un ricavo.
Coerentemente, a mente dell’art. 99, co. 1, del Tuir, le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione”.
Francamente sembra che la Corte parli di operazioni oggettivamente inesistenti invece che di operazioni soggettivamente inesistenti. I costi da operazioni soggettivamente inesistenti sono infatti deducibili ai sensi dell’art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito in legge 26 aprile 2012 n. 44. Ovviamente se il costo, come tutti quanti i costi di impresa, risulta inerente (recentemente Ordinanza n. 13370 del 20 maggio 2025, ordinanza 26434 del 30 settembre 2025). Non si vede allora per quale motivo il costo non debba essere aumentato dell’iva indetraibile. Non sembra risolutivo l’art. 99 TUIR citato nella sentenza, giacché la rivalsa, prevista in origine, è negata dalla natura non imprenditoriale del soggetto venditore (inesistente soggettivamente, appunto) andando di fatto a costituire un incremento del prezzo di acquisto. Se l’IVA evidenziata dal non imprenditore fosse deducibile in concreto non sarebbe un costo, almeno secondo il primo comma dell’articolo 99 che invece viene interpretato a contrario.
