Indagini finanziarie: le presunzioni sui professionisti non hanno valore, non solo dal lato dei prelevamenti ma anche da quello dei versamenti.

by Luca Mariotti

Avevamo salutato con favore la  Sentenza n. 228 del 24 settembre 2014 depositata il 6 ottobre 2014 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 per violazione degli artt. 3 e 53 Cost.

Avevamo anche visto come la Commissione Tributaria Provinciale di Venezia, con la sentenza n. 18/13/16 del 22 gennaio 2016, abbia esteso il principio affermato dalla Consulta nel 2014 ad un piccolo imprenditore (carrozziere).

Oggi il principale quotidiano economico nazionale ci riferisce di alcune massime della Suprema Corte nelle quali la numero 23041 del 2015, la 12779 e la 12781 del 2016 nelle quali è stato affermato che la Sentenza del 2014 della Consulta avrebbe di fatto eliminato non solo la presunzione sui prelevamenti dei professionisti, ma anche relativa ai versamenti sui conti, per quanto ciò non sia espressamente menzionato nel dispositivo.

Abbiamo perciò deciso di riportare sul sito la più recente di queste sentenze, ovvero la Sentenza 21 giugno 2016, n. 12781 emessa dalla V Sezione, Pres. Piccininni, Rel. Genovese.

Letteralmente la Sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311, limitatamente alle parole «o compensi». Quindi ha espunto dall’ordinamento solo la norma sui prelevamenti.

Ma è altresì vero che la Consulta, nella motivazione, ha molto insistito sulla peculiarità dell’attività professionale rispetto all’attività di impresa e anche sulle formalità contabili che si richiedono al professionista, semplificate appunto rispetto a quelle dell’imprenditore. Si legga per esempio il seguente passaggio: “la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti (che peraltro dovrebbero essere anomali rispetto al tenore di vita secondo gli indirizzi dell’Agenzia delle entrate) vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria; assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali”.

Le sentenze della Suprema Corte colgono queste riflessioni dando loro un esito per certi aspetti inatteso ma non del tutto irragionevole. Anzi. Secondo la V Sezione, “l’attività svolta dai lavoratori autonomi si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo, che è quasi del tutto assente nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali. Inoltre, la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria. Infine, la norma non può trovare giustificazione nell’esigenza di combattere l’evasione fiscale rilevante nel settore in quanto essa trova una risposta nella recente produzione normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari che oltre ad essere uno strumento di lotta al riciclaggio di capitali di provenienza illecita, persegue il dichiarato fine di contrastare l’evasione o l’elusione fiscale attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti che si possono prestare ad operazioni “in nero”.

La conclusione è quindi di questo tenore: « la presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari, non annotati contabilmente, vanno imputati ai ricavi conseguiti, nella propria attività, dal contribuente che non ne dimostri l’inclusione nella base imponibile oppure l’estraneità alla produzione del reddito, si riferisce ai soli imprenditori e non anche ai lavoratori autonomi o professionisti intellettuali, essendo venuta meno, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, la modifica della citata disposizione, apportata dall’art. 1, comma 402, della legge n. 311 del 2004, sicché non è più sostenibile l’equiparazione, ai fini della presunzione, tra attività d’impresa e professionale per gli anni anteriori.».

Non mancano le sentenze di segno contrario, più inclini a fermarsi alla considerazione sui soli prelevamenti. Ma lo spunto è decisamente molto interessante. Precedenti vicende (IRAP dopo la Sentenza 156/2001, per esempio) ci dimostrano che quando nella motivazione di alcune sentenze della Consulta ci sono degli spunti argomentativi più ampi del semplice dispositivo, i Giudici di legittimità li elaborano e non di rado arrivano ad integrare le conclusioni della Corte Costituzionale che parevano aver pronunciata l’ultima parola.

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