Inammissibile l’appello dell’Agenzia che riproduce l’accertamento.

by Luca Mariotti

In ambito tributario ai fini della validità dell’atto di appello non è possibile limitarsi a riproporre i motivi del primo grado, omettendo qualunque critica alla sentenza di prime cure.

Lo ha ribadito la sesta sezione della Corte di Cassazione nella ordinanza n. 8433 del 5 aprile 2018 (Pres. Iacobellis, Rel. Conti).

Nei fatti un atto di appello da parte dell’Agenzia delle Entrate veniva dichiarato inammissibile dalla CTR per difetto di specificità in relazione alla mancata specificazione dell’errore commesso dal giudice e dei punti salienti della sentenza di primo grado.

L’Agenzia ricorreva per cassazione invocando la violazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546/1992, sul presupposto che l’appello proposto, riportandosi ad un accertamento della Guardia di finanza, cioè alle ragioni dell’atto imposivo, avesse assolto ai requisiti di specificità previsti dalla disposizione sopra ricordata.

La Corte ritiene viceversa che la decisione della CTR  sia corretta, in quanto la specificità dei motivi di appello (finalizzata ad evitare un ricorso generalizzato e poco meditato al giudice di seconda istanza) esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime.

Dunque, nell’atto di appello, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.

E’ possibile che il dissenso della parte soccombente investa la decisione impugnata nella sua interezza e anche che tale dissenso si sostanzi proprio in quelle argomentazioni che suffragavano la domanda disattesa dal primo giudice. Ma quando, come nel caso specifico, le argomentazioni dell’accertamento erano state ritenute superate dai motivi del ricorso del contribuente, la loro semplice riproposizione non può far ritenere assolto l’onere di specificità dei motivi di appello.

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