In caso di ripetute istanze di autotutela avverso accertamenti tributari definitivi il contribuente è legittimato ad impugnare solo il primo diniego, espresso o tacito che esso sia.

by Luca Mariotti

La Sentenza n. 26505 depositata in data 11 ottobre 2024 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Napolitano, Rel. Chiechi) va a costituire un vero e proprio trattato sulla (triste) storia dell’autotutela tributaria nel nostro Paese.

I Giudici di Legittimità ricordano che l’istituto dell’autotutela tributaria è disciplinato «ratione temporis» dall’abrogato Decreto del Ministro delle Finanze 11 febbraio 1997, n. 37, emanato in attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 2-quater, comma 1, del D.L. n. 564 del 1994, convertito in L. n. 656 del 1994, non assumendo rilievo, ai fini della soluzione della presente controversia, le novità introdotte «in subiecta materia» dall’art. 1, comma 1, lettera m), del D. Lgs. n. 219 del 2023, che ha inserito nella L. n. 212 del 2000 (cd. statuto del contribuente) gli artt. 10-quater e 10-quinquies, dedicati, rispettivamente, all’esercizio dell’«autotutela obbligatoria» e dell’«autotutela facoltativa» da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Per completezza di trattazione, viene inoltre sottolineato che non incidono sulla decisione della specifica controversia le questioni rimesse alle Sezioni Unite con ordinanza interlocutoria n. 33665/2023 del 1° dicembre 2023, specificamente riguardanti: (a)la possibilità per l’Amministrazione Finanziaria di adottare in autotutela provvedimenti di annullamento «in malam partem» in presenza di vizi sostanziali (e non soltanto formali) dell’atto impositivo; (b)il rapporto fra il potere di autotutela, il principio dell’unicità dell’accertamento e l’accertamento integrativo; in particolare, se l’esercizio del potere di autotutela tributaria costituisca un’ulteriore deroga (non specificamente normata, alla luce del tenore letterale dell’art. 1 del D.M. n. 37 del 1997) al suddetto principio, avuto riguardo alle disposizioni recate dagli artt. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 4, del D.P.R. n. 633 del 1972, che disciplinano l’istituto dell’accertamento integrativo, e alla diversità strutturale e funzionale di tale potere rispetto a quello di accertamento integrativo.

I Principi richiamati sono quelli ormai noti. Citiamo in particolare:

  • si menziona il filone giurisprudenziale “-il quale ha ricevuto pure l’autorevole avallo della Corte Costituzionale-, secondo cui non solo l’esercizio del potere di autotutela è ampiamente discrezionale, ma nemmeno può ritenersi configurabile un obbligo dell’Amministrazione di rispondere all’istanza del contribuente intesa a sollecitarlo” (il riferimento è alla sentenza 181/2017 che costituisce a nostro modesto avviso, un vero e proprio elaborato di diritto amministrativo, assai lontano dalla storia dell’autotutela tributaria)
  • viene più volte ribadito che l’autotutela “non rappresenta uno strumento di protezione sostitutivo dei rimedi giurisdizionali di cui dispone il contribuente per contestare la legittimità della pretesa tributaria”.

Siamo quindi alle regole che conosciamo e che sono consolidate, per quanto discutibili. Neppure il riferimento all’interesse pubblico ad una corretta imposizione, segnalato dal contribuente come motivo di revisione, sortisce effetti.

Non è peraltro precisato, come le nuove norme (soprattutto in tema di autotutela “obbligatoria”) impatteranno sull’istituto.

Rimane l’immagine di una vicenda nella quale dapprima l’autotutela è stata vista come un possibile rimedio per aprire alla revisione degli atti tributari in sede amministrativa rimuovendo il concetto di indisponibilità dell’obbligazione tributaria. Vicenda che è proseguita individuando un vero e proprio dovere di revisione finanche nella prassi dell’Agenzia (si ricorderanno le circolari della DRE Lombardia e Toscana dei primi anni 2000), per poi subire un processo di regressione progressiva fino alla citata Sentenza della Corte Costituzionale del 2017.

Da segnalare in ultimo un passaggio di particolare rilievo:

“Questa Corte regolatrice ha poi ulteriormente precisato che non è consentito al contribuente proporre ripetute istanze di annullamento in autotutela avverso accertamenti tributari definitivi e decidere quale diniego opposto dall’Ufficio impugnare in sede giurisdizionale, potendo egli ricorrere esclusivamente avverso il diniego, espresso o tacito (a sèguito della formazione del silenzio rifiuto) relativo alla prima istanza proposta, e sempre che siano invocate ragioni di interesse generale all’annullamento dell’atto asseritamente trascurate dall’Amministrazione Finanziaria (cfr. Cass. n. 26907/2022, Cass. n. 24827/2021, Cass. n. 20200/2020)”.

Il ricorso del contribuente viene dichiarato inammissibile con condanna alle spese.

 

Articoli correlati

ilTRIBUTO.it – Associazione per l’approfondimento e la diffusione dell’informazione fiscale nasce a giugno del 2014 intorno all’idea che la materia fiscale sia oggi di fondamentale importanza e che debba essere sempre piú oggetto di studio e di critica – sempre costruttiva – da parte di persone preparate.

I prezzi dei nostri libri sono Iva 4% esclusa

RIMANI AGGIORNATO!
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

CONTATTI

+39 055 572521

info@iltributo.it

supportotecnico@iltributo.it

Seguici sui nostri social

©2024 – Associazione culturale “il tributo” – Sede Legale Via dei Della Robbia, 54 – 50132 Firenze C.f. 94238970480 – P.iva 06704870481