“In tema di imposte sui redditi, affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utili, non essendo richiesta la prova di un rapporto diretto tra spesa e ricavo secondo una correlazione puramente meccanica e atomistica”.
Questo il principio di diritto ribadito con ordinanza n. 25863 del 5 settembre 2023 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Crucitti, Rel. Esposito).
Nei fatti una s.r.l. acquisiva un ramo d’azienda procedendo all’ammortamento dell’avviamento pari ad 1/18 per anno. L’Agenzia riqualificava l’atto in un’obbligazione di fare, di non fare e di permettere e il ricorso della società veniva respinto dalla CTR Torino con sentenza passata in giudicato. La società chiedeva quindi il rimborso delle maggiori imposte versate a seguito della mancata deduzione integrale del costo di avviamento nell’anno di competenza, come sarebbe stato legittimo in base alla riqualificazione del contratto effettuata dall’Ufficio. Contro il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso la società proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Torino che lo accoglieva. La CTR del Piemonte accoglieva parzialmente l’appello dell’Agenzia delle entrate. La Corte di cassazione accoglieva il ricorso della società contribuente con riguardo alla censurata indeducibilità del costo, ritenuto dall’Ufficio non inerente. Il giudice del rinvio riconosceva l’inerenza del costo e la sua deducibilità dichiarando l’illegittimità del silenzio rifiuto e l’obbligo dell’Ufficio di procedere al rimborso. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione.
I Giudici di Legittimità hanno evidenziato come, nella prima sentenza, la Corte avesse rilevato che la relazione di inerenza doveva essere valutata con riferimento alle prestazioni di non facere (consistenti nell’astensione quinquennale nel settore di attività di raccolta dei rifiuti) rimettendo quindi la causa al giudice di merito per una corretta applicazione del concetto di inerenza, intesa quale costo sostenuto al fine di svolgere un’attività potenzialmente idonea a produrre utili.
La Corte, respinto il ricorso dell’Ufficio, ha quindi statuito che il giudice del rinvio si è attenuto al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione. Infatti lo stesso, dopo aver affermato che l’inerenza esprime un concetto relazionale tra due concetti (la spesa e l’impresa) per cui il costo assume rilevanza non tanto per la sua esplicita e diretta connessione a una precisa componente del reddito ma in virtù della sua correlazione con l’impresa in quanto tale, ha accertato in concreto nella fattispecie l’inerenza dei costi.