Con Ordinanza del 15 novembre 2025, n. 29545 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Fuochi Tinarelli, Rel. Putaturo Donati Viscido Di Nocera) hanno accolto il ricorso di una procedura fallimentare in relazione ad una vicenda processuale piuttosto complessa.
Il giudizio era già transitato in Cassazione: con ordinanza n. 22895 del 2021, la Corte di cassazione, sesta sezione civile-T, accoglieva il ricorso con rinvio alla CTR dell’Emilia-Romagna in diversa composizione.
In particolare, la Corte riteneva che la CTR non si fosse attenuta ai principi della giurisprudenza di legittimità in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, atteso che, rilevata la “sostanziale inattività” della ditta cedente, aveva affermato – peraltro, senza fornire adeguata motivazione delle ragioni sottese al raggiunto convincimento e neppure degli elementi probatori che a ciò l’hanno indotta con ciò, incorrendo in una motivazione apparente.
Il processo veniva riassunto a cura della curatela fallimentare dinanzi alla CTR dell’Emilia-Romagna; controdeduceva dell’Agenzia delle entrate chiedendo la conferma della legittimità della pretesa impositiva.
La CTR, con la sentenza 202/04/2022, depositata il 17 febbraio 2022, rigettava l’appello del Fallimento, confermando la legittimità dell’impugnato avviso.
In punto di diritto, la CTR, in sede di rinvio, ha affermato che i motivi del ricorso in riassunzione (violazione degli artt. 12 della legge n. 212/2000; 2697 c.c., 7 della legge 212/2000, la carenza probatoria e l’assenza dei presupposti impositivi dell’accertamento; la circostanza della mancata conoscenza da parte della contribuente della qualità di cartiera del fornitore, l’illegittimità delle sanzioni, il legittimo affidamento della contribuente) erano inammissibili in quanto non vi era alcun collegamento con l’ordinanza di rinvio; peraltro, l’assunto del Fallimento della società secondo cui sarebbe spettato all’Amministrazione provare l’inesistenza dell’operazione, era inammissibile, in quanto la sentenza della CTR aveva già stabilito che l’operazione era avvenuta a mezzo di “ditta inattiva” e, su tale punto, la sentenza era passata in giudicato, dovendo il giudizio di rinvio svolgersi nei limiti di quanto risultava dall’ordinanza di rinvio della Corte di cassazione; infondata era, altresì, la doglianza relativa alla circostanza secondo cui Olvin Srl sarebbe una società operativa in quanto l’operazione citata nella ordinanza di rinvio riguardava la ditta A.A. e non la Olvin Srl; peraltro, l’argomentazione del Fallimento secondo cui le fatture in questione dovevano considerarsi soggettivamente inesistenti era in contrasto con il principio di diritto statuito dalla Corte “consistente nel fatto che le operazioni in esame erano inesistenti e non poteva pertanto la CTR presumere che esse fossero invece attuate tra soggetti diversi, essendo appunto provata la loro materiale ed effettiva inesistenza”.
Tornata la causa in Cassazione, il fallimento denunciava, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 384 , comma 1, c.p.c., per avere la CTR in sede di rinvio – a fronte della ordinanza della Corte di cassazione n. 22895 del 2021 di accoglimento in toto del ricorso dell’Agenzia sia con riguardo ai denunciati vizi di violazione di legge (primo e secondo motivo) che al vizio di motivazione apparente (terzo motivo) – omesso di fare applicazione del principio di diritto in essa statuito, peraltro confusamente richiamato, senza vagliare le deduzioni difensive riproposte dal Fallimento, unitamente ai mezzi probatori, nel ricorso in riassunzione, concernenti l’effettiva “esistenza di un reale fornitore” da cui potere dedurre la qualificazione delle operazioni, non già come oggettivamente inesistenti, ma al più come soggettivamente inesistenti come riconosciuto dagli stessi finanzieri in sede di verifica (in particolare, nessun organo ispettivo aveva mai contestato che le vendite di merce registrate dalla società fossero fittizie per cui a queste ultime dovevano corrispondere effettivi acquisti della medesima). In particolare, ad avviso del ricorrente, quel che avrebbe dovuto verificare il giudice del rinvio – al quale, essendo stato accolto il ricorso per cassazione anche per vizi motivazionali della sentenza impugnata, non era preclusa un’autonoma ricostruzione della complessiva fattispecie anche sotto il profilo probatorio e fattuale – non era l’inesistenza tout court delle operazioni afferenti i costi ma solo la loro “inesistenza soggettiva” da provarsi, secondo il precetto di diritto della sentenza rescindente, mediante “la prova rigorosa e piena dell’effettività di quelle operazioni” “non desumibile solo dall’intervenuto pagamento delle fatture”. Anche il riferimento effettuato dalla Curatela, nel giudizio di rinvio, alla Olvin Srl, quale società non cartiera (come accertato, in via definitiva, nella ordinanza n. 25803/2022 della Corte di cassazione) rappresentava l’ulteriore prova della effettività degli acquisti effettuati dalla Azienda Vinicola Alla Grotta Srl
Il motivo viene ritenuto fondato.
Per la Corte limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni.
Nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo.
Nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua “potestas iudicandi”, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 448 del 14/01/2020; S. U. n. 11303 del 2014).
Nella sentenza impugnata il giudice del rinvio – a fronte della ordinanza n. 22895 del 2021 con la quale la Corte aveva accolto il ricorso per violazione di norme di diritto e per vizio assoluto di motivazione – ha affermato che l’argomentazione del Fallimento circa l’eventuale soggettiva fittizietà delle fatture in questione era infondata in quanto “in aperto ed evidente contrasto con il principio di diritto fissato dalla Suprema Corte, consistente nel fatto che le operazioni in esame sono inesistenti e non poteva pertanto la CTR presumere che esse fossero invece attuate fra soggetti diversi, essendo appunto provata la loro materiale ed effettiva inesistenza”; con ciò, il giudice del rinvio, da un lato, ha travisato il principio di diritto espresso nella richiamata ordinanza secondo cui una volta accertata l’idoneità degli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria in ordine alla fittizietà della cedente e delle operazioni commerciali intercorse con la società contribuente (avendo il giudice di appello rilevato la “sostanziale inattività” della ditta cedente) spettava al contribuente la prova rigorosa e piena dell’effettività di quelle operazioni.
Dall’altro avendo la Corte accolto anche il motivo relativo all’assunto vizio di motivazione apparente, per avere il giudice di appello, rilevata la “sostanziale inattività” della ditta cedente, affermato, senza spiegare le ragioni sottese al raggiunto convincimento e, neppure, gli elementi probatori che a ciò l’avevano indotta, che la ditta fornitrice si era “prestata ad emettere le fatture, a ricevere il pagamento e a stornarlo all’effettivo cedente” – non ha vagliato “ex novo”, le risultanze probatorie già acquisite, nonché eventuali altri fatti, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, al fine di stabilire, in ossequio al principio di diritto espresso, se le fatture in contestazione afferissero ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, non potendo tale prova essere desunta (come erroneamente effettuato dal giudice di appello) dall’intervenuto pagamento delle fatture.
Il motivo viene accolto con conseguente assorbimento dell’altro, e con cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione.