“il potere che ha la pubblica amministrazione di formarsi unilateralmente gli atti impositivi o esattivi trova un limite nel caso in cui quello stesso rapporto soggettivo ed oggettivo sul quale quegli atti vadano ad incidere sia stato oggetto di un precedente o successivo giudicato.
Nel caso di giudicato precedente, l’atto impositivo o esattivo che si ponesse in contrasto con la regula iuris giudizialmente ed irretrattabilmente affermata sarebbe nullo (cfr., in ambito processuale amministrativo, gli artt. 114 c.p.a. e 21-septies, comma 1, della L. n. 241 del 1990); nel caso di giudicato successivo (come nella fattispecie che qui ci occupa, in cui le cartelle non impugnate dal contribuente sono antecedenti al giudicato del 2015), l’atto impositivo o esattivo in contrasto con quella regula iuris resterebbe definitivamente privato della sua efficacia; diventerebbe, in altre parole, inefficace”.
Questo a nostro modesto giudizio il passaggio saliente dell’ordinanza 26 giugno 2023, n. 18241 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. Napolitano) che accoglie il ricorso di un contribuente il quale aveva ottenuto in Cassazione una decisione favorevole sulla non assoggettabilità all’Irap dei suoi redditi relativi agli anni d’imposta dal 2000 al 2004 e di conseguenza chiese l’annullamento in autotutela (lo sgravio) delle cartelle notificate per i ruoli Irap nascenti dalle dichiarazioni afferenti i predetti anni d’imposta.
All’istanza di annullamento l’Ufficio rispose sei mesi dopo con il rigetto, motivato dalla natura riscossiva dei ruoli portati dalle cartelle, formati ai sensi dell’art. 36 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, in seguito al controllo delle dichiarazioni annuali. In altre parole, secondo l’Ufficio, non poteva disporsi lo sgravio in autotutela dei ruoli Irap in relazione agli anni dal 2000 al 2004 in quanto il presupposto dell’iscrizione era da rinvenirsi nelle dichiarazioni Irap e non in un atto impositivo dell’Agenzia. Ne è quindi seguito un nuovo giudizio sul diniego di sgravio.
Per la Corte proprio in base al giudicato del 2015 che aveva disposto il rimborso dell’Irap pagata dal contribuente per gli anni dal 2000 al 2004, sulla base dell’accertamento che egli non poteva, per quegli anni, essere assoggettato alla detta imposta, l’amministrazione non ha alcun titolo per pretendere dall’odierno ricorrente ulteriori somme a titolo di Irap per le dette annualità, con la conseguenza che essa non avrebbe potuto fare altro che accogliere l’istanza di sgravio.
La sopravvivenza del carico di ruolo nei confronti del contribuente, infatti, con riferimento all’Irap pretesa dall’amministrazione con riferimento agli anni dal 2000 al 2004, non potrebbe avere alcun effetto tra le parti: il contribuente contro il quale si desse inizio ad una esecuzione forzata per il recupero di un credito erariale accertato come inesistente ben potrebbe vittoriosamente spiegare opposizione ex art. 615 c.p.c. deducendo la sopravvenuta caducazione, ad opera del giudicato, dei titoli esecutivi precedentemente formati (cfr. art. 57, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 602 del 1973, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 114 del 2018); e l’interesse attuale all’impugnazione del diniego di sgravio, senza attendere future azioni esecutive, emerge proprio dalla motivazione del provvedimento dell’amministrazione, riportata, per stralci, in ricorso, secondo la quale le cartelle non impugnate avrebbero ancora ad oggetto, nonostante il giudicato cui si è più volte fatto riferimento, una pretesa valida ed esigibile nei confronti del contribuente.
Segue da ciò l’accoglimento del ricorso e una condanna alle spese di 8.000 euro più accessori dell’Agenzia delle Entrate.