L’ Ordinanza 7 giugno 2018, n. 14859 della VI Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Iacobellis, Rel. Conte) affronta il caso di un contribuente che erroneamente aveva indicato a rimborso un credito IVA poi riportato quale eccedenza di imposta per l’anno successivo, con conseguente ripresa a tassazione, mediante cartella, dell’intero importo del credito.
L’Agenzia ha ritenuto di non potere riconoscere l’emendabilità della dichiarazione relativamente all’errore commesso dal contribuente nella compilazione di una delle dichiarazioni, perché, nel caso in cui il legislatore abbia subordinato la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà (od opzione) del contribuente, anche se da compiersi all’interno della stessa dichiarazione, mediante la compilazione di un modulo predisposto dall’erario (o altrimenti), quella specifica parte della dichiarazione assume il diverso valore di atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione.
In simili ipotesi, secondo le tesi dell’amministrazione, “il contribuente che intenda contestare l’atto impositivo, notificatogli dall’amministrazione finanziaria, per far valere l’errore commesso è onerato – secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui all’art. 1427 cod. civ. e ss., applicabile ex art. 1324 cod. civ. agli atti unilaterali inter vivos a contenuto patrimoniale, in quanto compatibile – di fornire la prova della rilevanza dell’errore, con riguardo ad entrambi i requisiti della sua essenzialità ed obiettiva riconoscibilità da parte dell’amministrazione finanziaria. Con la conseguenza che, laddove il contribuente non fornisca detta prova, indispensabile affinchè il vizio della volontà possa incidere, invalidandola, sulla dichiarazione negoziale, quel generale principio di emendabilità non vale ad inficiare la pretesa tributaria legittimamente azionata (conf. Cass. n. 6977 del 2015)”– cfr. Cass. n. 3286/2016-.
La Corte si muove dalle tesi dell’Agenzia per confutarle tuttavia con riferimento ai fatti emersi nel giudizio di merito.
La CTR, dato atto dell’errore del contribuente nella compilazione della dichiarazione IVA relativa all’anno 2006- nella quale aveva indicato nel rigo relativo al rimborso il credito IVA maturato- aveva considerato il contegno del contribuente che, rispetto alla dichiarazione presentata nell’anno 2007, non aveva predisposto il modello VR per ottenere il rimborso. Elemento, quest’ultimo, affatto marginale, se si considera che la stessa Agenzia delle entrate, con la circolare n.12/E del 12.3.2010, ha riconosciuto che “In assenza del modello VR il credito IVA indicato nella dichiarazione annuale si intende imputato in detrazione e/o in compensazione”. Detto questo, la CTR ha parimenti evidenziato che il contribuente, dopo avere ricevuto comunicazione dell’intenzione dell’Ufficio di riprendere a tassazione l’eccedenza indicata in compensazione per l’anno 2007, aveva avanzato istanza di sgravio, disattesa dall’Ufficio.
Per la Corte tali elementi rendono evidente che il contribuente aveva pienamente dimostrato l’essenzialità e riconoscibilità dell’errore nel quale era incorso all’atto della compilazione della dichiarazione relativa all’anno 2006, mettendo in condizione l’Ufficio di riconoscere l’errore stesso.
D’altra parte, nessun pregiudizio risulta derivato allo Stato dalla condotta del contribuente, non potendosi individuare un intento evasivo o elusivo da parte del contribuente – cfr. Cass. n.2882/2017- che, accortosi dell’errore dopo la comunicazione dell’Ufficio che reclamava l’importo dell’IVA erroneamente indicata nella dichiarazione dell’anno 2006- come ritenuto dalla CTR con accertamento di fatto incontestato- al contrario, aveva esternato tempestivamente la volontà di non attivarsi per ottenere il rimborso per l’anno 2006, invece presentando la richiesta di rimborso parziale con modello VR per il periodo d’imposta 2007- come attestato dai documenti riprodotti dalla controricorrente nel controricorso e depositati nel corso del giudizio di primo grado.